La nascita del primo sindacato italiano di influencer e streamer mostra l’esistenza di un mondo di precari che spesso non possono nemmeno accedere ad un mutuo.
Se in passato i giovani volevano diventare tutti calciatori o letterine, oggi il sogno di molti si è spostato verso i social network, in particolare sulla professione dell’influencer, vera “terra promessa” del 21° secolo.
Davanti a esempi come Chiara Ferragni, influencer con guadagni stratosferici grazie a pubblicità e co-branding, però, esiste tutto un mondo di aspiranti lavoratori dei social network che quotidianamente si batte per portare il “pane a casa”, con stipendi molto spesso bassi o addirittura assenti.
Al loro fianco scende in campo il Siicc, il Sindacato di streamer e influencer, pronto a sostenerli in un mercato che risulta sempre più precario.
I problemi quotidiani di streamer e influencer
Gli streamer e gli influencer svolgono il loro lavoro quotidiano su piattaforme social come YouTube, Twitter, Instagram, TikTok e Twich, cercando di aumentare il numero di propri follower proponendo contenuti dai temi più diversi.
Si tratta di “un vero e proprio lavoro”, spiega al Messaggero Edoardo Leoni, leader del Siic, “in quanto richiede preparazione, studio e impegno quotidiani, al pari di attori, artisti e presentatori TV”.
Tra creator che cercano di proporre contenuti, solo poche migliaia riescono a percepire tra gli ottocento e i tremila euro lordi di incassi mensili, mentre il numero di chi non riesce a guadagnare è incalcolabile.
Anche nel caso in cui gli streamer riescano a ottenere un compenso, spesso non possono nemmeno accedere ad un mutuo in banca, in quanto “faticano a dimostrare la loro occupazione, anche in mancanza di un codice Ateco ad hoc”, racconta Leoni. La prima proposta del Siic, dunque, è proprio “quella di creare questo codice anche di questa categoria per le partite Iva”.
I precari del web
Su una piattaforma come Twich, tra le più in voga per la trasmissione in diretta dei creatori di contenuti, ogni mese si connettono circa quattro milioni di persone solo in Italia, prevalentemente appartenenti alla generazione Z (nate tra il ’95 e il 2010).
Tra le possibilità di guadagno per un creator senza importanti partnership di sponsorizzazione c’è la pubblicità automatica che appare sulle piattaforme all’interno dei loro contenuti, oltre alla possibilità di ricevere sottoscrizioni o dagli stessi utenti.
Gli streamer, però, sono in balia delle decisioni dei big del web, le quali possono, ad esempio, ridurre l’abbonamento mensile degli utenti (il caso di Amazon) senza avvisarli, mentre il rischio di essere bannati dalle piattaforme per cause discutibili è sempre dietro l’angolo.
“Siamo iper-precari, per questo dobbiamo fare squadra e parlare con una voce unica alle piattaforme”, sottolinea Leoni aggiungendo che “come sindacato vogliamo organizzare eventi con le università per insegnare agli aspiranti streamer come muoversi a livello fiscale. Ma cercheremo anche partnership con le aziende, ad esempio del food, per garantire sponsorizzazioni a ogni associato, dando a tutti le possibilità economiche per avviare le loro iniziative”.
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