Il 2022 potrebbe finire con una stagnazione in Italia: questo lo scenario previsto da Confindustria, con rischi sempre più accentuati di una crescita ferma. Cosa significa e quale impatto?
Italia: aumenta il rischio di una stagnazione per l’economia, questo l’ultimo avvertimento del Centro studi di Confindustria, che aggiorna così le previsioni per la fine del 2022.
Segnali poco incoraggianti stanno lasciando il segno in Europa e, nello specifico, nel nostro Paese, con l’industria nuovamente in sofferenza, pressata da prezzi del gas in aumento e da prospettive peggiorate dagli ultimi interventi delle banche centrali. Stanno balzando, infatti, anche i costi del credito, con il Btp che ha visto impennare il rendimento e lo spread che si è allargato di oltre 210 punti dopo una Bce ancora aggressiva.
In questo contesto, il pericolo di una stagnazione di fine anno in Italia c’è tutto: cosa significa per l’economia nazionale?
Italia in stagnazione: cosa significa per l’economia del Paese
La stagnazione è il termine tecnico per indicare una economia che si ferma e non cresce, con produzione e reddito nazionale destinati a essere immobili. Potrebbe, quindi, disegnare una situazione preludio di una successiva crisi o contrazione.
È questo il quadro emerso dall’ultimo rilievo di Confindustria, con il documento sulla congiuntura flash del suo centro studi.
Perché l’Italia può finire l’anno in una condizione stagnante? I motivi sono così esposti dal documento:
“...il prezzo del gas sta di nuovo salendo e il caro-energia accresce i costi ormai da 12 mesi, mitigato, solo in parte, dagli interventi del Governo; l’inflazione ai massimi e persistente frenerà i consumi; il rialzo dei tassi si sta accentuando e zavorra i bilanci. Gli indicatori sono al ribasso, anche riguardo la domanda; il turismo, esaurito il rimbalzo, potrebbe spingere meno in inverno, come già le costruzioni in estate.”
La crescita, quindi, non troverebbe spunti sufficienti per ripartire in modo adeguato. La produzione industriale sta già evidenziando il colpo: a ottobre è calata ancora, con un -1,0%, dopo il -1,7% a settembre. Solo i beni strumentali hanno resistito, ma tutti gli altri settori no. “Il 4° trimestre si apre, quindi, con una variazione acquisita molto negativa (-1,5%), più pesante di quella del 3° (-0,5%), come segnalavano da alcuni mesi i dati qualitativi,” hanno scritto gli esperti di Confindustria.
Stesso clima incerto anche in Europa. La fiducia, in diminuzione da 8 mesi, è leggermente migliorata a novembre (93,7 da 92,7; indicatore ESI). Il Pmi composito è passato da 47,8 a 47,3, con il manifatturiero in flessione (46,4 da 47,1). I dati sulla produzione hanno evidenziato segnali non incoraggianti nelle principali economie: a ottobre la variazione acquisita per il 4° trimestre è di -0,3% in Germania, -0,5% in Spagna, -2,3% in Francia.
Dai prezzi del gas ai tassi: cosa sta colpendo l’Italia?
I rilievi di Confindustria hanno ruotato intorno a due questioni principali: i prezzi energetici e il rialzo dei tassi.
Il prezzo del gas ha visto altri aumenti a dicembre, con la quotazione di Amsterdam a 132 euro per megawattora. Lo stallo Ue sul price gas non ha dato la giusta spinta al ribasso, mentre inizia l’inverno più rigido.
Inoltre, “si è impennato in ottobre il costo del credito per le imprese italiane: 3,14% per le PMI da 1,74% a inizio 2022, 2,19% per le grandi da 0,76%. Questo aggravio di costi inciderà negativamente sugli investimenti.”
Il rialzo dei tassi di 50 punti base della Bce, con tasso di interesse arrivato al 2,50%, ha accentuato rate dei mutui più alte e previsioni difficili per il costo del denaro. Secondo Lagarde, infatti, gli aumenti, anche se ancora di 50 punti base, continueranno e saranno sostenuti anche dalla riduzione di bilancio da marzo 2023. Questo significa che la banca centrale ridurrà gli acquisti di obbligazioni (che finora hanno salvato il debito italiano).
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Con quali conseguenze? La settimana si sta chiudendo con nervosismo in Italia: spread alle stelle e Btp decennale con rendimento oltre il 4,0%.
Tutti i fattori elencati non sono di buono auspicio per l’economia italiana, che rischia così una stagnazione.
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