La verità sul dossier UniCredit-Commerzbank sganciata dall’omonimo quotidiano. Spiegato il perché di Berlino del “matrimonio che non s’ha da fare”.
La verità, sul dossier UniCredit-Commerzbank e sul nein della Germania alle nozze, l’ha sganciata oggi il quotidiano “La Verità”, nell’articolo firmato da Camilla Conti: “Berlino dirà sì a UniCredit-Commerzbak solo se Roma dà il via libera al MES”, ovvero al Meccanismo europeo di stabilità, la cui riforma è stata ratificata da tutti, in Europa, a eccezione dell’Italia.
A dirlo chiaro e tondo è stato Tobias Troger, intervistato da La Verità.
La Germania ricatta l’Italia. Il matrimonio che non s’ha da fare a causa del no di Meloni al MES
Direttore del Cluster Law and Finance del Leibniz Institute Sustainable Architecture for Finance in Europe, visiting fellow a Stanford, consulente a Bruxelles vicino al governo di Olaf Scholz - praticamente collassato in una Germania che si avvia alle elezioni anticipate - Troger ha spiegato che “la creazione di una banca così grande”, quale quella che si verrebbe a creare nel caso in cui UniCredit fagocitasse la tedesca Commerzbank, di cui al momento detiene una quota potenziale del 21%, “richiede che il nuovo meccanismo di stabilità agisca da protezione”.
Richiede insomma il MES, che fin da subito si è rivelato tra i principali dossier rompicapo del governo Meloni che, tallonato dal no continuo di Salvini & Co, ha deciso alla fine di snobbare del tutto la questione della ratifica, facendo dell’Italia l’unica che ha rimandato al mittente la riforma.
Un no che Berlino e l’Europa intera non hanno mai digerito, tanto che, interpellato da La Verità, Troger ha praticamente rivelato quello che il quotidiano ha definito un vero e proprio ricatto della Germania contro l’Italia.
“La creazione di una banca paneuropea così grande richiederebbe che il MES riformato fosse in atto come backstop, come rete di protezione, per il Fondo di risoluzione unico. La flessibilità per mobilitare le rirose del MES sarebbe essenziale per mantenere la fiducia necessaria per affrontare una operazione tra banche di interesse sistemico della UE come una eventuale fusione tra UniCredit e Commerzbank”.
Il consulente vicino al governo di Berlino ha infatti sottolineato che, “finché la riforma del MES non verrà ratificata e quindi finché il MES non potrà assumere la sua funzione di supporto nella risoluzione bancaria, il quadro comune europeo di gestione delle crisi bancarie non sarà all’altezza del suo compito”.
Quel no di Meloni al MES. Per Salvini una “follia europea”
Troger ha così confermato quanto era trapelato da subito, ovvero che alla base del no di Berlino all’ipotesi di una fusione tra UniCredit e Commerzbank ci sono motivazioni di natura politica e che la banca italiana guidata dal CEO Andrea Orcel rischia praticamente di pagare il no del governo Meloni alla riforma del MES: riforma che è stata tra i grandi dossier dell’esecutivo italiano soprattutto nell’anno 2023, quando per mesi si sono rincorsi rumor e dichiarazioni sulla possibilità di una sua ratifica.
A bocciare l’idea in toto è stato tra i rappresentanti del governo Meloni soprattutto il vicepremier, leader della Lega e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini, che ha confermato la sua opposizione anche quest’anno, ribadendo che il “MES non serve all’Italia” e che ha definito la riforma “un’altra follia europea”.
Nel rispondere alla domanda su una sua possibile ratifica in futuro, Salvini ha rincarato la dose: “No, mai, figuratevi, è un’altra follia europea. Se lo approvino loro se vogliono perché a noi non ci serve”.
Peccato che a ogni azione corrisponde una reazione, e che l’esecutivo tedesco così come Commerzbank hanno almeno fino a oggi ripetuto meccanicamente i loro nein, probabilmente proprio in risposta al no del governo Meloni al MES.
MES: la crociata del governo Meloni contro la ratifica. Il pensiero di Giorgetti-Meloni
Le speranze europee di un sì dell’Italia al MES si sono letteralmente dissolte alla fine del 2023, con la bocciatura ufficiale della proposta di ratifica del Meccanismo europeo di stabilità da parte della Camera dei deputati, nel dicembre dello scorso anno.
Il problema è che il no alla ratifica ha paralizzato praticamente tutta l’Europa, che non ha potuto rendere esecutiva la riforma, considerata tra le condizioni sine qua non per blindare la sicurezza delle banche UE e per garantire, così facendo, il completamento dell’Unione bancaria del blocco.
Tra l’altro, la questione aveva provocato un grande imbarazzo all’interno dello stesso governo Meloni quando, qualche settimana prima, una dichiarazione a favore del MES era arrivata addirittura dai tecnici del MEF, ovvero del Ministero dell’Economia e delle Finanze guidato da Giancarlo Giorgetti.
Quei tecnici avevano chiaramente scritto che “non si ha notizia che un peggioramento del rischio del MES sia stato evidenziato da altri soggetti quali le agenzie di rating, che hanno invero confermato la più alta valutazione attribuitagli anche dopo la firma degli accordi sulla riforma”.
I tecnici avevano riassunto il loro pensiero con queste testuali parole: “Non si rinvengono nell’accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio legato a suddetta istituzione”.
Insomma, nessuna minaccia MES per l’Italia, piuttosto la possibilità che il rating sul debito pubblico del Paese potesse essere addirittura migliorato:
“Sulla base dei riscontri ricevuti da analisti e operatori di mercato, è possibile che la riforma del MES, nella misura in cui venga percepita come un segnale di rafforzamento della coesione europea, porti ad una migliore valutazione del merito di credito degli Stati aderenti, con un effetto più pronunciato per quelli a più elevato debito come l’Italia”.
Ma alla fine di giugno anche di quest’anno, è stato di nuovo lo stesso ministro Giorgetti a confermare la linea del governo Meloni contro la riforma, sottolineando come nel breve non sia “possibile” ratificarla, mentre nel lungo termine, “ dipende se cambia, se migliora , se cambia natura come abbiamo sempre chiesto”.
Dal canto suo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha fin da subito chiarito la sua posizione, già alla fine del 2022, poco dopo che il suo governo aveva preso le redini dell’Italia, a ottobre di quell’anno:
“Finchè io conto qualcosa l’Italia non accederà al Mes, lo posso firmare col sangue”.
UniCredit-Commerzbank: ma l’ultima parola spetta alla BCE
A questo punto, cosa succederà al dossier UniCredit-Commerzbank?
Per l’Italia di Meloni che punta ad attribuirsi il merito di aver dato vita alla prima banca paneuropea - quella auspicata in primis dal CEO di UniCredit, Andrea Orcel -, la buona notizia è che a dire l’ultima parola non sarà la Germania, alle prese con non pochi guai, a causa del disastro economico e dei conflitti interni che hanno dato il colpo di grazia al governo Scholz, ma la BCE.
Detto questo, non è di buon auspicio il nein arrivato anche dalla neo CEO di Commerzbank, Bettina Orlopp.
Dal canto suo, Orcel non ha perso certo tempo e ha iniziato a coprirsi già dal rischio di una erosione del suo investimento nell’istituto teutonico, mentre gli analisti continuano a fare il loro lavoro interrogandosi sulle conseguenze possibili di una operazione di M&A tra i due istituti.
UniCredit ha dalla sua parte il boom di utili e di dividendi che continua ad assicurare ai suoi azionisti, nonostante il contesto meno favorevole dei tassi di interesse - che la BCE sta tagliando, togliendo così quello che è stato un assist innegabile ai margini netti di interesse delle banche dell’Eurozona, negli anni delle strette monetarie del 2022-2023. Occhio, a tal proposito, al brusco dietrofront dei titoli bancari sul Ftse MIB di Piazza Affari, che ha fatto sorgere diversi interrogativi sulla ritirata delle quotazioni.
Di recente Piazza Gae Aulenti ha incassato anche il premio rating sui suoi bond dal mondo delle agenzie di rating, che consente alle sue obbligazioni di battere i BTP: un premio che, in teoria, dovrebbe smorzare le ansie di Berlino sul doom loop tra UniCredit e i titoli di stato italiani che la banca ha in pancia.
Oggi nessun particolare scossone sui titoli protagonisti del dossier e all’indomani della carica di sell che ha fatto sbandare tutte le azioni delle principali banche italiane: a Piazza Affari, il titolo UniCredit riporta un rialzo di poco superiore allo 0,50%.
Le azioni sono tuttavia reduci dai sell dell’ultimo periodo, che hanno portato il loro valore a scivolare a un livello inferiore del 4% circa sia su base settimanale che mensile.
Poco mosso anche il trend del titolo Commerzbank alla borsa di Francoforte. Le azioni CBK sono state colpite dagli smobilizzi in modo meno importante rispetto ai titoli UCG, riportando nell’ultimo mese un calo poco superiore all’1%, mentre l’interrogativo persistente è su quale sarà la direzione dell’intero comparto bancario dell’area euro ormai “mollato” dalla BCE, nel corso dei prossimi mesi.
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