Il referendum non era l’unica arma per riformare la magistratura. Cosa succede adesso alla riforma della giustizia
Il referendum di domenica scorsa era indubbiamente un’importante occasione per muovere i primi passi verso la riforma della giustizia. Il quorum, però, complice anche l’assordante silenzio mediatico, non è stato raggiunto e dunque i quesiti non sono passati. Tuttavia il centrodestra ha messo da subito le cose in chiaro: la vera e propria riforma della giustizia verrà partorita il prossimo anno, in seguito alle elezioni politiche del 2023.
Nel frattempo al Senato si è aperta la discussione generale sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm) e dell’ordinamento giudiziario. Il testo è il risultato di mediazioni, compromessi assai complicati. Le novità vanno dal sistema elettorale dei membri togati del Csm al limite per il cambio di funzioni tra giudice e pubblico ministero, passando per la valutazione dei magistrati.
Su questo tema i partiti di maggioranza hanno mostrato più di qualche spaccatura, con la Lega e Italia Viva che hanno presentato una serie di emendamenti alla riforma Cartabia sulla giustizia. Matteo Salvini ha sottolineato che gli emendamenti sono simili ai quesiti referendari: «Se altri partiti vogliono una giustizia politicizzata voteranno contro i nostri emendamenti».
I renziani, però, con quello che definiscono un «altissimo senso di responsabilità», hanno ritirato i correttivi pur mantenendo tutte le perplessità del caso: da parte di Iv infatti dovrebbe esserci l’astensione e non un via libera quando ci sarà il voto finale in Aula.
Al contrario la Lega non ha alcuna intenzione di fare passi indietro: gli emendamenti del Carroccio sono stati mantenuti, motivo per cui verranno votati “con convinzione” e hanno chiesto alle altre forze politiche di fare altrettanto. «Come Lega siamo soddisfatti? No. Faremo di meglio quando vinceremo le elezioni», è stato il commento netto del senatore Simone Pillon.
Le difficoltà nella maggioranza hanno portato Enrico Letta a minacciare l’utilizzo della fiducia se non si dovesse sbrogliare la situazione. La linea dura avanzata dal segretario del Partito democratico ha trovato però il muro del senatore leghista Andrea Ostellari, secondo cui «imbavagliare i rappresentanti degli italiani» sarebbe «inaccettabile». Perciò ha invitato Letta a «rispettare il Parlamento e accettare la discussione».
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