Quali sono realmente i lavori vietati a chi ha un tatuaggio? Ecco cosa dice la legge riguardo alla possibile discriminazione.
Tatuaggi e lavoro, ancora oggi la questione non è delle più semplici ed è fonte di parecchi dubbi. Il gusto personale influisce notevolmente sull’opinione a riguardo. C’è chi ritiene che i tatuaggi siano incompatibili con alcune professioni, soprattutto quelle che prevedono contatti con il pubblico o una certa formalità.
Secondo altre correnti di pensiero, invece, i lavoratori devono essere valutati per competenza e professionalità, senza lasciar interferire le preferenze personali. È anche vero che si sentono, non più così spesso come un tempo, notizie di candidati non assunti per via dei loro tatuaggi, o addirittura di dipendenti licenziati per lo stesso motivo. Ma quali sono realmente i lavori vietati a chi ha un tatuaggio? Vediamo gli aspetti legali.
Quali sono i lavori vietati a chi ha tatuaggi
Contrariamente a ciò che potrebbe sembrare, non esiste nessuna legge che regoli i tatuaggi, il loro riflesso sulle posizioni lavorative o tanto meno dei divieti professionali. La legge nazionale, infatti, non prevede lavori vietati a chi ha uno o più tatuaggi e lo stesso principio è condiviso dalla normativa europea.
L’unica eccezione è rappresentata dalle forze armate. Per superare il concorso nella Polizia, nei Carabinieri o nell’Esercito, è infatti richiesto il rispetto di requisiti ben specifici, tra cui anche una precisa regolamentazione dei tatuaggi. Anche in questo caso non si tratta di un divieto assoluto, bensì ci sono dei limiti sulle aree del corpo che è possibile tatuare e sul soggetto dei disegni.
Il divieto in questione, peraltro, è evidentemente mosso da ragioni particolari che non possono trovare raffronti simili in nessun’altra occupazione. Oltre alla richiesta di un certo decoro, bisogna anche considerare che la visibilità dei tatuaggi potrebbe creare serie ripercussioni sulla carriera delle forze dell’ordine. La possibile offensività per altre nazioni e la facilità di riconoscimento sono tra i motivi principali che muovono il divieto.
Per quanto riguarda qualsiasi altra professione, invece, non c’è nessuna normativa specifica. Non esistono, dunque, lavori vietati a chi ha un tatuaggio, anche se è ammessa una certa discrezionalità da parte dei datori di lavoro.
È legale non assumere un candidato perché tatuato?
Quando si fa riferimento ai criteri di scelta dei datori di lavoro è facile inglobare qualsiasi elemento diverso da quelli prettamente professionali nella discriminazione. In realtà, si può parlare di discriminazione propriamente soltanto quando ci si riferisce a specifici aspetti dell’essere umano tutelati dalla legge. Per lo più si tratta del genere, della religione, dell’etnia e della disabilità.
Il diritto di avere dei tatuaggi rientra certamente nella libertà individuale, ma non gode di particolari tutele legali. Si tratta di un elemento non solo del tutto decisionale, ma anche non inerente a minoranze o lesioni del diritto stesso. Ne consegue che il datore di lavoro è libero di non assumere un candidato con tatuaggi, oppure prevedere un codice di abbigliamento per cui debbano essere coperti.
Nulla di nuovo, è noto che in diversi ambienti lavorativi ci sono tipologie di vestiario e aspetto ben precise da rispettare secondo le politiche aziendali. I datori di lavoro, peraltro, possono anche vietare esplicitamente i tatuaggi o limitarli nel regolamento dell’azienda. Soltanto in quest’ultimo caso, poi, è ammissibile il licenziamento del lavoratore perché tatuato.
I regolamenti interni, ma anche le contrattazioni collettive, possono vietare di mostrare eventuali tatuaggi ai clienti. Ciò si concretizza in un divieto automatico per i tatuaggi nelle parti del corpo visibili da quasi ogni divisa, quindi volto, testa e mani.
La questione è diversa quando il datore di lavoro è rappresentato dall’azienda pubblica, che assume tramite concorso e pertanto dovrebbe inserire in modo specifico il requisito sull’assenza dei tatuaggi per poter rifiutare un candidato con questo pretesto.
In linea generale, i tatuaggi non sono considerati dalla giurisprudenza come passibili di discriminazione, anche se la questione può essere sottoposta al tribunale nel caso specifico se sono presenti particolarità. Un tatuaggio con valenza religiosa, per esempio, può essere facilmente considerato passibile di discriminazione. Si pensi, per citarne uno, al Mehndi indiano che, anche se non permanente, si mostra visivamente come un tatuaggio ma ha valore culturale e religioso.
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