Quanto sono davvero sicure le banche italiane? Dopo il terremoto che ha colpito anche Deutsche Bank, i risparmiatori devono preoccuparsi? Gli istituti di credito in Italia sono solidi per TOT motivi.
Banche italiane al sicuro dal terremoto finanziario arrivato anche in Europa?
Dopo i fallimenti degli istituti di credito Usa, il salvataggio del colosso Credit Suisse e il panico che ieri, 24 marzo, si è diffuso nelle Borse europee con l’improvviso crollo del gigante Deutsche Bank gli interrogativi si moltiplicano: uno tsunami sta per affondare anche il sistema bancario italiano?
Per rispondere a questa domanda che lascia inquieti e nervosi investitori, risparmiatori e comuni cittadini può essere utile un documento della Fabi, il sindacato autonomo dei bancari con sati relativi a settembre 2022. Ci sono almeno 3 motivi per credere che le banche italiane sono solide e non rischiano fallimenti o crolli.
1. Banche italiane sicure: la forza dei numeri
Il report Fabi esordisce con questo messaggio rassicurante: “Le crisi di Silicon Valley Bank e Credit Suisse sono replicabili altrove? Impatti significativi in Italia sono quasi impossibili...”.
Il primo motivo che giustifica questo ottimismo è la somma di dati chiave: indice di liquidità al 176%, grado di qualità del patrimonio al 16,2% e livello di redditività che sfiora il 9%.
Considerando le 12 banche italiane più significative, il nostro Paese si colloca al quarto posto in Ue per:
- totale di attivi (2,8 miliardi di euro);
- profitti (12,87 miliardi di euro);
- roe (return on equity, ovvero indice di redditività del capitale proprio) dell’8,95% (oltre la media Ue)
Fabi sottolinea che “l’Italia, con una massa di attivi pari alla metà di quella tedesca e a circa un terzo di quella francese, vanta un roe (return on equity) superiore non solo alla media europea, ma anche ai principali concorrenti dell’area euro”. La tabella elaborata mette in evidenza questi dati:
Inoltre, con un cost/income (rapporto tra costi operativi e margine di intermediazione) pari al 64,2%, un Cet1 in media al 14,7% (rispetto all’8% che è il valore minimo stabilito dalla Bce) e un Tier1 al 16,2% le banche italiane sono considerate in salute.
Anche per quanto riguarda i ricavi, l’Italia è in una buona posizione, con il quarto posto in Ue, considerando che i suoi 12 istituti più significativi presi in esame sommano circa 50 miliardi di entrate. La tabella di Fabi è esplicativa al riguardo:
A testimonianza di una solidità data dai numeri, il documento sottolinea che... “le banche italiane vantano un giusto mix di ricavi che, congiuntamente alla qualità degli assets e alla buona patrimonializzazione, consente di resistere e di rispondere prontamente ai cambiamenti che intervengono nel contesto economico e nella regolamentazione”.
2. Crediti deteriorati e liquidità
Altri indicatori numerici importanti per analizzare lo stato di salute delle banche riguardano il peso dei crediti deteriorati (prestiti non performanti, quelli che il debitore non riesce più a ripagare e rappresentano quindi un rischio perdita alto per le banche) e la liquidità.
Il rapporto tra totale crediti e quelli non performing loan è al 2,6% in Italia, “dimostrando gli effetti positivi delle politiche di de-risking, in coerenza con i principali piano industriali delle banche degli ultimi anni.”
Anche il profilo liquidità mostra robustezza: l’indicatore Lcr ratio, ovvero lo stock di attività liquide sicure con le quali un istituto può coprire il fabbisogno di liquidità in 30 giorni in situazioni di stress, è pari al 176%, ben più ampio del 100% minimo stabilito dalle regole di Basilea.
3. Sorveglianza europea a garanzia delle banche italiane
Anche se il crollo di Deutsche Bank ha portato il panico in Europa, c’è da dire che il sistema di vigilanza che vige sugli istituti di credito europei, e quindi italiani, è valutato come un elemento di garanzia fondamentale.
Negli anni la sorveglianza europea sulle banche si è andata anche a rafforzare, con richieste più stringenti soprattutto su posizione patrimoniale e requisiti di liquidità. Rispetto agli Usa, come evidenziato anche da Fabi, “ci sono norme più stringenti che impongono controlli differenti e maggiori rispetto a quelle dei due Paesi degli istituti falliti...facendo anche tesoro di quanto accaduto con la precedente crisi globale del 2008...”.
Il momento finanziario globale non è certo dei migliori, tra tassi di interesse elevati, inflazione in corsa, guerra e vulnerabilità di alcuni istituti di crediti nel mondo. Tuttavia, la forza delle banche italiane sta negli indici di liquidità, la bontà del patrimonio e il livello di redditività, tutti migliorati.
La situazione Deutsche Bank, per ora, resta nello sfondo e seppure allarma, rimane un segnale del nervosismo generale di mercati e investitori.
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