Meno tasse al ceto medio, quanto si risparmia?

Patrizia Del Pidio

12 Novembre 2024 - 09:38

Avanza l’ipotesi del taglio dell’Irpef al ceto medio. Come cambierebbe la tassazione e quanto si risparmierebbe con un taglio di 1 o 2 punti percentuali?

Per la Manovra inizia il pressing degli emendamenti, ma la vera sfida si gioca su un punto in particolare: meno tasse al ceto medio, quanto si risparmia? La modifica era stata annunciata da mesi, ma essendo legata al maggior gettito portato dal concordato preventivo biennale e proprio per questo non è stata inserita nel testo originario della Legge di Bilancio 2025.

Il governo aveva manifestato a più riprese l’intenzione di intervenire sull’Irpef del ceto medio e in particolare sull’aliquota al 35% che grava su chi guadagna da 28.000 a 50.000 euro utilizzando il tesoretto proveniente dal patto con il Fisco delle partite Iva.

Anche se il concordato non è stato sottoscritto dal numero di autonomi sperato, garantirà un incasso di almeno 1,3 miliardi di euro (hanno aderito 522 mila partite Iva).
Potrebbero esserci meno tasse nel 2025 per chi guadagna più di 28.000 euro. Si tratta di una delle novità in discussione proprio in questi giorni che potrebbe essere inserita nella manovra.

A distanza di mesi, poi, le stesse intenzioni sono state ribadite anche dal viceministro all’Economia, Maurizio Leo: la strada da percorrere nella prosecuzione della riforma fiscale è quella che porta a intervenire in favore del ceto medio. Si tratta di un percorso che proseguirebbe quello iniziato lo scorso anno quando da quattro aliquote e scaglioni si è passati a tre accorpando il primo e secondo scaglione di reddito per andare a tutelare le fasce più deboli della popolazione. L’intervento a cui si mira nel 2025, invece, riguardano una riduzione del peso dell’Irpef per gli scaglioni successivi al primo.

Meno tasse se guadagni più di 28.000 euro

Tra le ipotesi avanzate nelle ultime settimane trova spazio una riduzione del secondo scaglione di reddito, quello che si riferisce a chi guadagna tra 28.000 e 50.000 euro. Per queste tipologie di reddito oggi è prevista un’aliquota al 35%.

L’ipotesi vorrebbe che questa aliquota sia abbassata di due punti percentuali portandola dal 35% al 33%. Purtroppo non è certo che le risorse a disposizione permettano di portare l’aliquota al 33% e, quindi, è possibile che la riduzione si fermi anche al 34%.

Allo stesso tempo, però, si è parlato anche di un intervento che possa ampliare l’attuale secondo scaglione di reddito (da 28.000 a 50.000 euro) fino ai 60.000 euro. In questo modo sarebbe sottoposto a tassazione del 43% solo chi guadagna oltre 60.000 euro.

Appare chiaro che le risorse limitate che sono state messe a disposizione per la manovra di fine anno (la maggior parte delle quali serviranno a confermare l’Irpef a tre aliquote e il taglio del cuneo fiscale), non permetteranno di intervenire sia sull’aliquota che sullo scaglione ampliandolo (in verità non è certo neanche che permettano un intervento sull’Irpef del ceto medio).

Quando risparmierebbe sulle tasse chi oggi ha redditi tra i 28.000 euro i 50.000 euro?

La Fondazione nazionale dei Commercialisti fa il punto della situazione simulando la riduzione delle imposte con la riduzione della seconda aliquota Irpef 33%o al 34%.

Per far scendere l’aliquota dal 35% al 33% servirebbero almeno 2,5 miliardi di euro, ma ricordiamo che con il concordato preventivo, al momento, il gettito è solo di 1,3 miliardi di euro. La scelta probabile, quindi, sembra essere quella al 34%.

Che benefici avrebbero dipendenti, pensionati e autonomi dal taglio delle tasse? I commercialisti hanno fatto una simulazione tenendo conto che i dati fornito prendono in considerazione le tasse versate dal contribuente nel 2024 e quelle che verserebbe nel 2025, ma bisogna considerare che il taglio al cuneo fiscale si trasforma, il prossimo anno, in una detrazione fiscale sul lavoro per i redditi superiori a 20.000 euro.

Per i redditi che vanno da 30.000 a 35.000 euro il vecchio taglio al cuneo era più conveniente del nuovo e il taglio dell’Irpef anche al 33% non compenserebbero il passaggio dal vecchio al nuovo beneficio.

Per redditi di 30.000 euro la riduzione dell’aliquota Irpef al 34% la perdita annua si avrebbe una perdita di 101 euro l’anno e lo stesso accadrebbe con una riduzione al 33%.

Per reddito di 35.000 euro con la riduzione al 34% la perdita annua sarebbe di 145 euro mentre con una riduzione al 33% la perdita annua sarebbe di 107 euro.

Le cose, invece, cambiano per i redditi da 40.000 euro in su, perché in questo caso ci sarebbe un guadagno per i lavoratori e nello specifico:

  • per 40.000 euro con l’aliquota al 34% si guadagnerebbero 543 euro l’anno, con quella al 33% il guadagno sarebbe di 627 euro;
  • per 43.000 euro con l’aliquota al 34% si guadagnerebbero 230 euro l’anno, con quella al 33% il guadagno sarebbe di 340 euro;
  • per 45.000 euro con l’aliquota al 34% si guadagnerebbero 129 euro l’anno, con quella al 33% il guadagno sarebbe di 257 euro;
  • per 50.000 euro con l’aliquota al 34% si guadagnerebbero 174 euro l’anno, con quella al 33% il guadagno sarebbe di 348 euro.

Taglio tasse solo per chi guadagna oltre 50.000 euro

L’intervento dello scorso anno ha portato all’accorpamento dei primi due scaglioni di reddito sotto un’unica aliquota, quella del 23%. L’intervento di quest’anno, invece, potrebbe essere mirato a chi guadagna oltre 50.000 euro e non ha beneficiato della sforbiciata dello scorso anno (a causa dell’inserimento della franchigia di 260 euro sulle detrazioni che ha annullato il risparmio sull’Irpef).

Intervenire sull’aliquota al 43% per limitare la tassazione dell’ultimo scaglione sembra molto inverosimile, visto che l’intervento richiederebbe molte risorse che, oggi, non ci sono.

L’obiettivo, quindi, è quello di intervenire soprattutto a favore di chi ha redditi compresi tra 50.000 e 60.000 euro, anche se primariamente è intenzione del Governo destinare le risorse ai redditi più bassi. Agire sui redditi del ceto medio (che non rientra in quello ricco) potrebbe, secondo quanto fatto trapelare, essere non solo un intervento dettato da ragioni di equità fiscale ma anche di ordine economico per gli effetti che il taglio delle tasse potrebbe avere sulla domanda interna.

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