L’ottimismo dei mercati su un’economia Usa salva dalla recessione potrebbe trarre in inganno. Un esperto ha evidenziato che esistono almeno 2 segnali da cogliere per essere preoccupati.
A Wall Street si respira un clima ottimista e di fiducia, con i mercati euforici per il previsto avvio dei tagli dei tassi Fed nel 2024.
Negli scambi di venerdì 8 dicembre, il Dow Industrials ha registrato la sua chiusura più alta dal 12 gennaio 2022. L’S&P 500 ha archiviato le negoziazioni con guadagni come non accadeva dal 29 marzo 2022 e il Nasdaq Composite ha registrato la chiusura più alta dal 4 aprile 2022. Tutti e tre gli indici principali sono saliti per la sesta settimana consecutiva.
Non solo. I recenti dati sull’occupazione e sull’inflazione hanno alimentato le speranze che una recessione possa essere evitata negli Stati Uniti. A novembre, le buste paga del settore non agricolo sono aumentate e hanno superato le aspettative. Anche i dati sull’inflazione di ottobre hanno sorpreso le previsioni, con i prezzi al consumo rimasti invariati rispetto al mese precedente e in aumento del 3,2% su base annuale.
Un atterraggio morbido dell’economia Usa e una Fed pronta ormai a rendere più accomodante la sua politica monetaria sembrano temi scontati per il 2024. I mercati esultano, ma secondo lo stratega e gestore degli hedge fund David Neuhauser qualcosa non torna e sotto la superficie si intravedono delle crepe. Sono almeno 2 i segnali da valutare per riflettere su quanto ancora si rischia uno scenario di recessione.
Questi 2 segnali dei mercati avvertono che la recessione è possibile
Intervenendo sul canale di Cnbc, l’esperto ha messo in guardia gli investitori.
La debolezza nei consumi statunitensi e nell’economia globale – in particolare in Cina – e il fatto che i dati sull’inflazione rimangono ostinatamente elevati in numerosi Paesi rappresentano rischi non trascurabili per il prossimo futuro.
Secondo Neuhauser, però, sono almeno 2 i messaggi che i mercati stanno inviando e che occorrerebbe leggere con attenzione: l’andamento dei prezzi del petrolio e l’oro. Questi, infatti, raccontano una storia completamente diversa per quanto riguarda le prospettive economiche.
“Quando guardi il petrolio...e il mercato dell’oro, questo ti dice che la recessione è in primo piano”, ha spiegato lo stratega.
I futures sul greggio Brent con scadenza a febbraio, venivano scambiati intorno ai 75,67 dollari al barile all’inizio di lunedì, in calo di oltre il 20% rispetto al picco di circa 97 dollari al barile di settembre.
I prezzi spot dell’oro sono saliti dai minimi di inizio ottobre di circa 1.810 dollari l’oncia. Lunedì, il metallo prezioso è stato scambiato a circa 1.991 dollari l’oncia e la scorsa settimana ha toccato il livello record superiore a 2.100 dollari l’oncia.
Sia il calo dei prezzi del petrolio che l’aumento dei prezzi dell’oro indicano crescenti timori di recessione. Allo stesso tempo, le aspettative di un atterraggio morbido (in seguito ai forti dati sull’occupazione) si stanno facendo strada sempre di più. E il rendimento dei Treasury Usa a 10 anni racconta che sale sulla scia di un’economia forte narra un’altra visione.
“Qualcuno ha torto”, ha avvertito Neuhauser. In un mercato dai confusi segnali - recessione e solidità economica - bisogna stare attenti a non trascurare nessun messaggio. Intanto, in attesa di indicazioni sulla Fed, si resta a guardare.
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