La Corte di Cassazione stabilisce che in caso di controlli sui movimenti bancari sospetti spetta al contribuente chiarire alcuni dubbi. Ecco quali.
In caso di movimenti bancari sospetti non spetta all’amministrazione finanziaria l’individuazione dell’origine del reddito contestato, tanto meno l’indicazione dell’attività produttiva da cui potrebbe essere generato, bensì tocca al contribuente sciogliere i dubbi.
Questo è quanto stabilito dall’ordinanza numero 2643/2023 della Corte di Cassazione. L’organo, si è espresso in tema di accertamento di movimenti bancari sospetti, rigettando il ricorso presentato da un contribuente, e stabilendo che spetta allo stesso dimostrare che i proventi oggetto di contestazione non devono essere recuperati a tassazione in quanto già desumibili dalla dichiarazione dei redditi o legati a operazioni non imponibili.
L’ufficio non è obbligato ad individuare la fonte di reddito, così come a dare indicazione dell’attività produttiva a cui potrebbero essere imputati i movimenti bancari sospetti. In più, la Corte di Cassazione ha tenuto a sottolineare che l’autorizzazione ad eseguire verifiche bancarie non richiede alcuna motivazione. Per questo motivo, qualora non venga allegata o esibita all’interessato, non si ha l’illegittimità dell’avviso di accertamento.
Approfondiamo il caso nello specifico.
Movimenti bancari sospetti, il caso
Un imprenditore agricolo riceveva dall’Agenzia delle Entrate un avviso di accertamento contenente una modifica in aumento della base imponibile dichiarata dallo stesso e la tassazione dei maggiori redditi accertati. Il controllo riguardava i movimenti bancari del contribuente dai quali sono emersi accrediti e prelievi non giustificati sui conti.
Movimenti bancari, il ricorso
Il ricorso in prima istanza è stato presentato dall’imprenditore ai giudici tributari che hanno avvallato la questione all’Amministrazione finanziaria. Dopo in ricorso in seconda istanza dinanzi Commissione tributaria della Regione Lazio, il contribuente ha ottenuto solo una riduzione sommaria del maggior reddito accertato, motivo per cui ha deciso di ricorrere in Cassazione facendo leva su diverse motivazioni di ricorso.
Con il primo sottolineava la mancata precisazione da parte della Ctr dell’attività che aveva portato ad avere un maggiore imponibile, senza tener conto che il reddito agrario viene calcolato in base alle caratteristiche del terreno e con il metodo forfettario.
Stando a quanto precisato dal ricorrente, il reddito agrario può essere considerato reddito d’impresa solo se viene prodotto da una società commerciale e per le attività indicate all’articolo 32, comma 2, lettere b) e c), del TUIR (Decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986), che eccedano i limiti previsti dall’articolo 55, comma 1, dello stesso Testo unico.
In secondo luogo, per l’imprenditore spettava all’ufficio indicare, a monte, la presenza di un’attività dalla quale aveva origine il reddito accertato e la natura giuridica dello stesso, non potendo imputare ai soli movimenti bancari la maggiore base imponibile.
Con l’ultimo ricorso, invece, il contribuente contestava all’ufficio il non aver allegato all’avviso di accertamento l’autorizzazione necessaria per acquisire i documenti riferiti ai conti di sua proprietà.
Movimenti bancari sospetti, in caso di controlli è il contribuente a dover sciogliere i dubbi
Veniamo ora alle risposte fornite dalla Corte di Cassazione circa i ricorsi presentati dal contribuente per i movimenti bancari sospetti. L’organo ha ricettato il ricorso chiarendone i motivi: in tema di accertamento aventi ad oggetto movimenti bancari sospetti riferiti a società di capitali, spetta al contribuente dimostrare che i ricavi generati dall’attività non vanno recuperati a tassazione, per diverse ragioni, o perché sono già state rilevati nella dichiarazione dei redditi, o perché non rilevanti dal punto di vista fiscale in quanto riconducibili ad operazioni non imponibili.
Volendo essere più chiari, l’Amministrazione finanziaria non è obbligata ad individuare in via preventiva la fonte di reddito, così come non è tenuta a dare indicazione dell’attività dalla quale potrebbero scaturire i movimenti bancari per la rideterminazione in aumento della base imponibile.
Spostando l’attenzione sull’attività imprenditoriale del lavoratore agricolo, invece, la Cassazione ha evidenziato che la stessa, se svolta oltre il limite indicato all’articolo 32, comma 2, lettera b) del Testo Unico delle Imposte sul Reddito non può essere ricondotta a quanto dettato da questa disciplina.
Il reddito che oltrepassa tale limite viene considerato reddito d’impresa e come tale non impedisce all’Amministrazione finanziaria di dare avvio ad una serie di accertamenti per verificarne l’effettiva consistenza qualora si ravvisi una capacità patrimoniale difforme dal reddito stimato in maniera forfettaria.
In conclusione, i giudici hanno poi rigettato anche l’ultimo ricorso presentato dall’imprenditore agricolo confermando che l’autorizzazione a procedere alla verifica dei movimenti bancari sospetti non va motivata. Condizione questa che non determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento nel caso in cui questa non venisse allegata o presentata al contribuente.
L’illegittimità dell’avviso di accertamento ricorre non in mancanza della sua allegazione ma solo nel caso di una materiale assenza di autorizzazione, anche se in questo caso tocca al contribuente dimostrare un pregiudizio da lui avanzato.
Una pronuncia questa della Corte di Cassazione conforme alla n. 22754 del 2020 secondo la quale la legittimità degli accertamenti delle indagini condotte sui movimenti bancari e sulle risultanze e legata all’esistenza dell’autorizzazione e non anche alla presentazione della stessa al contribuente.
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