Niente pensione di reversibilità dopo 25 anni di matrimonio, ecco come è stato possibile

Ilena D’Errico

26 Ottobre 2024 - 20:30

Dopo 25 anni di matrimonio a una vedova è stata negata la reversibilità. Ecco come è stato possibile.

Niente pensione di reversibilità dopo 25 anni di matrimonio, ecco come è stato possibile

Brutte notizie per una vedova tedesca, nonostante sia stata sposata per 25 anni non le è stata riconosciuta la pensione di reversibilità e a nulla è servito intentare una causa civile. La Corte di Asburgo ha infatti respinto il ricorso, negando qualsiasi forma di discriminazione di genere e sancendo la legittimità del contratto stipulato tra il defunto e il datore di lavoro. È proprio in quest’ultimo, infatti, che risiede la causa delle brutte notizie per la ricorrente.

La situazione che si è creata dipende dalla normativa tedesca e non ha veri e propri principi corrispondenti in Italia, dove invece sono altre i motivi per cui si perde la pensione di reversibilità, indipendentemente dalla natura del rapporto. Cerchiamo di fare chiarezza su cosa è successo, anche perché la notizia ha fatto parecchio scalpore e ripercorriamo la normativa italiana.

Sposata da 25 anni ma senza diritto alla pensione di reversibilità

Come anticipato, una vedova tedesca si è vista negare la pensione di reversibilità dopo ben 25 anni di matrimonio. Bisogna specificare che la pensione in riferimento era di tipo aziendale, dunque erogata direttamente dal datore di lavoro, il quale gode di una certa discrezionalità ma non può comunque venire meno ad alcuni doveri. Ciò, naturalmente, in riferimento all’ordinamento tedesco.

Il lungo matrimonio, in ogni caso, non ha coperto un sufficiente periodo di occupazione professionale del lavoratore. Quest’ultimo aveva infatti firmato un accordo con il datore di lavoro per il quale la pensione di reversibilità sarebbe spettata soltanto al coniuge superstite che aveva contratto matrimonio almeno 5 anni prima del pensionamento.

Nel caso di specie, invece, il matrimonio è avvenuto a meno di 5 anni dal pensionamento del lavoratore. Così, il datore di lavoro si è opposto all’erogazione della reversibilità nei confronti della vedova, che nel frattempo è stata sposata per un totale di 25 anni. Come premesso, il tribunale ha ritenuto legittimo il contratto stipulato tra il lavoratore e il datore di lavoro, considerando il diritto dell’azienda a una pianificazione finanziaria libera al fine di tutelare i propri interessi.

Nello specifico, la clausola voluta dal datore di lavoro serviva a proteggersi da impegni a lungo termine troppo gravosi, dovuti per l’appunto a matrimoni conclusi in vista del pensionamento, eventualmente proprio per motivi di natura finanziaria oppure con partner molto giovani. La vedova ha ritenuto questa clausola discriminatoria, tenuto conto del fatto che la maggior parte delle pensioni di reversibilità è versata alle donne (non soltanto per motivi occupazionali, ma anche per la diversa aspettativa di vita).

Il regolamento aziendale, tuttavia, applicava le medesime condizioni a tutti i lavoratori, indipendentemente da genere o età. Di conseguenza, la clausola è stata ritenuta valida ed è stato respinto il ricorso della vedova.

Cosa può succedere in Italia?

In Italia il diritto alla pensione di reversibilità non può dipendere dalla data di celebrazione del matrimonio, nemmeno in confronto alla data di pensionamento. La durata del matrimonio, diversamente da altri Paesi europei, non è rilevante per il beneficio e nemmeno per la determinazione dell’importo. C’è soltanto un eccezione: il divorzio, intervenuto dopo l’inizio del rapporto assicurativo.

L’ex coniuge divorziato titolare dell’assegno divorzile e che non è passato a seconde nozze ha infatti diritto alla pensione di reversibilità, a patto che il rapporto assicurativo sia iniziato prima dello scioglimento. In altre parole, il defunto deve aver iniziato a lavorare prima di divorziare. Un requisito piuttosto semplice da soddisfare.

Quando è stato il defunto a risposarsi, con concorso nel diritto alla pensione di reversibilità tra coniuge vedovo e ed ex coniuge divorziato, conta anche la durata del matrimonio. Quest’ultima è rilevante per la ripartizione dell’importo tra i due beneficiari. Non si tratta di una regola fissa, ma di un parametro tenuto in gran considerazione dalla Corte di Cassazione.

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