Il non avvocato può offrire consulenza legale? La risposta della Cassazione

Simone Micocci

23 Ottobre 2017 - 09:13

Per gli avvocati italiani cresce la concorrenza dei professionisti non iscritti all’albo: ecco quanto stabilito dalla Corte di Cassazione in merito a questa delicata questione.

Il non avvocato può offrire consulenza legale? La risposta della Cassazione

Chi non è avvocato può dare un parere legale?

Lo scorso marzo la Cassa Forense ha pubblicato un report con il quale ha messo in risalto la differenza che c’è tra domanda e offerta legale: in sostanza, in Italia ci sono più avvocati di quelli che servirebbero.

Ciò si ripercuote inevitabilmente sul reddito degli avvocati, che negli ultimi anni è calato notevolmente complice un ribasso dei prezzi dovuto alla troppa concorrenza. Il problema è che per gli avvocati non c’è solo la concorrenza dei propri colleghi, ma anche quella degli esperti in diritto che danno consulenza legale pur non essendo iscritti all’albo.

Una concorrenza che può risultare spiacevole per gli avvocati che per diventare tali hanno investito tempo, impegno e denaro, ma del tutto legittima. Infatti, come ribadito dalla Corte di Cassazione in diverse sentenze, anche un non avvocato può fornire consulenza legale e non solo, ha persino diritto ad un compenso per l’attività prestata.

Non sempre però questo è possibile, dal momento che ci sono dei casi in cui la consulenza legale è di esclusiva degli avvocati. Facciamo chiarezza sulla questione analizzando cosa può e cosa non può fare un non avvocato.

Consulenza legale: quando l’avvocato ha l’esclusiva?

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo ricordare quali sono i presupposti affinché un professionista possa definirsi un avvocato.

Per diventare un avvocato oggi è necessario aver conseguito la laurea in Giurisprudenza e aver superato l’esame di Stato. Inoltre bisogna essere iscritti regolarmente all’Albo professionale e alla Cassa Forense ed in più è obbligatorio il possesso di una propria partita IVA.

Un percorso lungo e difficile, obbligatorio per tutti coloro che vogliono offrire assistenza giudiziale. La legge, infatti, stabilisce che l’assistenza di un avvocato è obbligatoria per le cause superiori ai 1.100 euro; dinanzi al Tribunale, ma anche al Giudice di pace, un cittadino non può né difendersi da solo né farsi assistere da un esperto di diritto se non iscritto all’Albo.

Naturalmente l’assistenza dell’avvocato è obbligatoria non solo per l’assistenza e la difesa in giudizio, ma anche per tutte le attività collegate, come la redazione degli atti in causa, che non può essere effettuata da un praticante, o l’assistenza in una mediazione (quando questa è obbligatoria).

Ad eccezione di questi ambiti di esclusività, però, la consulenza legale può essere fornita anche da un non avvocato, come ribadito in più di una sentenza dalla Corte di Cassazione.

Assistenza legale: quando l’avvocato non ha l’esclusiva?

Naturalmente nella maggior parte dei casi un avvocato ha una maggiore competenza sugli aspetti legali rispetto a chi, pur avendo studiato per anni il diritto, non lo è. Eppure ci sono persone che preferiscono chiedere un parere ad altre persone piuttosto che ad un avvocato, solitamente perché il compenso dovuto è più basso.

A tal proposito riportiamo la sentenza n°12840/2006 della Corte di Cassazione, con la quale i giudici del Palazzo di Giustizia hanno ribadito che:

la prestazione d’opera intellettuale nell’ambito dell’assistenza legale è riservata agli iscritti agli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e, comunque, della diretta collaborazione con il Giudice nell’ambito del processo. Al di fuori di tali limiti, l’attività di assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti agli albi professionali.

Per le attività stragiudiziali, quindi, gli avvocati non hanno l’esclusiva. Ad esempio, si può ricorrere ad un non avvocato per chiedere una consulenza legale, l’importante è che questa non sia finalizzata alla successiva difesa in giudizio.

Ma un non avvocato può offrire la propria assistenza anche per una richiesta di risarcimento ad una compagnia assicurativa per un sinistro, per rispondere ad una lettera di diffida, oppure per la redazione di un accordo o di una transazione.

Per queste attività quindi chi non è avvocato non rischia di essere condannato per il reato di esercizio abusivo della professione, “punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da centotre euro a cinquecentosedici euro” (articolo 348 del Codice Penale).

D’altronde è la stessa Comunità europea a tutelare il principio della libertà della prestazione di servizi, per il quale una prestazione professionale può essere erogata da chiunque, ad eccezione dei casi limite riservati espressamente dalla legge agli iscritti agli albi professionali.

Il non avvocato deve essere pagato?

La Corte di Cassazione, con la suddetta sentenza, ha riconosciuto al non avvocato il diritto al compenso per le attività di consulenza da lui fornite.

D’altronde, come ribadito dalla Suprema Corte con la recente sentenza n°1792 del 2017, anche la consulenza professionale espressa tramite email ha diritto ad essere pagata.

L’importante è non improvvisarsi esperti di diritto; infatti chi fornisce una consulenza legale percependo un compenso deve assumersi le proprie responsabilità e in caso di errore risarcire il proprio cliente.

Quando invece l’assistenza legale riguarda i casi limite espressi dalla legge non c’è alcun diritto al compenso, neppure quando l’azione dell’abusivo sia stata utile al cliente. Anzi, quest’ultimo può chiedere indietro quanto eventualmente versato, senza rimborsare il non avvocato per le spese sostenute.

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