Olimpiadi 2024 e le derive del politically correct

A parlare di correttezza sportiva molti fanno presto, ma non dicono nulla.

Nulla. Perché nulla sanno né di correttezza, né di sport. Perché se sapessero qualcosa, se conoscessero, ad esempio, la fatica degli allenamenti di chi ha praticato uno sport, uno qualsiasi (che non sia il leonismo da tastiera, ben inteso) lungi sarebbero stati dall’irridere chi per tutta la vita ha faticato per arrivare ad una Olimpiade e poi combattere una gara che, ahimè, nessuno mai potrà dirsi essere stata regolare (come se chi si è allenato tutta la vita a correre i 100 metri si trovasse in linea di partenza con un ghepardo che dichiara “io non sono il felino più veloce al mondo, sono loro che mi disegnano così”(semi cit.).

E nulla potranno dire a sostegno di chi si è negato alla difesa di bandiera millantando un mal di gola - (essendo primo in classifica mondiale della sua disciplina) ma, mentre queste sono ancora in corso, é “miracolosamente” (d’altronde la Madonna fa miracoli, ma ormai a difenderla resta solo l’Ayathollah) guarito per partecipare a una competizione in cui il premio economico è sicuramente più allettante della difesa di una bandiera in cui non ci si riconosce - rispetto a chi, con 15 anni in più ed un intervento chirurgico appena effettuato, instabile nel corpo ma non certo nella determinazione e nello spirito ha detto “Per difendere la mia bandiera farò qualsiasi cosa” (pur essendo, il soggetto in questione, stato ostacolato in ogni sua prova e suo diritto per non aver accondisceso a dettami privi di fondamento medico o scientifico ma puro strumento politico) e così ha vinto il maggior numero di titoli ad oggi nella sua disciplina. [...]