Aziende italiane in crisi: sono circa 2.000 le imprese in difficoltà economica e finanziaria. Quali sono i brand a rischio chiusure e licenziamenti?
In soli tre anni sono circa 2.000 le aziende italiane che hanno deciso di avviare la procedura di composizione negoziata della crisi. Il significato di questo dato è presto spiegato: con un aumento del 60% del ricorso all’istituto in un solo anno, crescono le imprese in difficoltà finanziaria sul nostro territorio.
Industrie, società quotate, brand finora solidi e famosi in tutto il mondo nel settore retail faticano a tenere il passo in termini di produzione e vendite, in un contesto economico globale in repentino cambiamento e dagli esiti incerti. Complici le crisi geopolitiche internazionali, le guerre in corso, i mutamenti nella strategia energetica europea, la frenata dei consumi, la debolezza della domanda cinese, la sfida epocale della transizione green e l’avanzare incontrastato degli acquisti online, molte imprese italiane arrancano in questo 2025.
L’ondata di crisi non sta risparmiando marchi noti così come industrie strategiche per il comparto produttivo italiano e dalle quali dipende lo sviluppo economico di interi territori.
Evitare fallimenti, chiusure di negozi, ridimensionamenti drastici della produzione e, di conseguenza, licenziamenti sono gli obiettivi delle procedure negoziate delle crisi e dei tavoli aperti presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy. Circa 2.000 aziende stanno cercando soluzioni per evitare un peggioramento dei loro bilanci e rilanciare così la produzione. Ecco alcuni dei brand che oggi sono in bilico.
Tutte le aziende italiane in bilico: questi brand sono in crisi
I dati resi noti da Unioncamere a dicembre 2024 hanno dipinto un quadro a tinte fosche per le aziende italiane: la lista delle imprese che hanno avviato la procedura di composizione negoziata della crisi si è allungata, con 1.963 istanze presentate nel monitoraggio effettuato al 12 novembre scorso.
Il numero è in crescita e, come spiegato nel report, “solo nel corso dell’ultimo mese – dal 15 ottobre ad oggi - sono state presentate più di 100 nuove istanze (una media doppia rispetto allo scorso anno)”. Cosa significa questo dato in concreto?
La procedura negoziata della crisi è un istituto introdotto per sostenere le aziende in contesti di difficoltà finanziaria, cercando di agire prima che il collasso sia inevitabile e, soprattutto, irrecuperabile. Gli analisti affermano che tale procedimento presenta dei vantaggi: è veloce e in genere si conclude in un anno; non prevede l’intervento dell’autorità giudiziaria, ma solo di un esperto che funge da mediatore tra creditore e debitore; favorisce una solida tutela dei finanziatori dell’azienda in difficoltà.
Tuttavia, ricorrere a questo strumento vuol dire anche che l’impresa interessata presenta segnali di crisi, conta debiti difficili da ripagare nel proprio bilancio e deve riorganizzare e razionalizzare il piano produttivo o di vendite. In sintesi, le circa 2.000 istanze di procedura in corso in Italia rappresentano altrettante aziende con squilibri finanziari importanti.
Le imprese attualmente in procedura di composizione negoziata della crisi comprendono marchi molto noti, quali:
- Conbipel;
- Coin;
- Kasanova
Il gruppo Coin, per esempio, ha già deciso di chiudere 8 punti vendita in tutta Italia. Conbipel sta mettendo a rischio 1.000 lavoratori e potrebbe abbassare per sempre le serrande di decine di negozi. Kasanova, leader nella vendita di casalinghi, arredo e tessile, ha avviato la procedura di composizione negoziata della crisi e ha già chiuso alcuni negozi a Palermo, Lecco, Prato per performance commerciali non in linea con i piani.
Tra le industrie in cerca di soluzioni per ristrutturare i debiti e scongiurare scenari drastici ci sono: Panariagroup Industrie Ceramiche, Cln Group, Caffitaly, Pro-Gest. Le aziende sono accomunate da incertezze sul futuro, con i costi energetici saliti alle stelle negli ultimi anni, costi di importazione in aumento, mercati di vendita più ristretti per la crisi della domanda, scarsi incentivi allo sviluppo della produttività.
Cnl, per esempio, attiva nel settore siderurgico è stata coinvolta nella profonda crisi che sta colpendo il settore automobilistico in Europa visto che è fornitore di Stellantis e Renault. Per quanto riguarda Pro-Gest, che si occupa di produzione di carta e cartone, sono stati proprio gli aumenti inflazionistici e delle materie prime a causare l’allarme crisi.
Imprese e brand in crisi: i tavoli aperti al Mimit
Non ci sono solo i numeri sulla procedura negoziata della crisi a lanciare l’allarme aziende in Italia. Attualmente, sono 34 i tavoli aperti presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy, con lo scopo proprio di favorire soluzioni positive dinanzi a conclamate crisi industriali.
Tra i marchi noti che rischiano chiusure, fallimenti, licenziamenti e che sono monitorati dal Mimit spiccano:
- Beko;
- La Perla;
- Almaviva Contact;
- Acciaierie d’Italia;
- Berco;
- Piaggio Aero Industries;
- Eni Versalis;
105.974 sono i lavoratori coinvolti - e che rischiano di perdere il posto - in queste crisi seguite dal ministero. La posta in gioco per l’Italia è alta. Occupazione e sviluppo industriale rischiano di indebolirsi.
Le numerose vertenze aperte nel 2024 parlano di una incapacità totale del pubblico di indirizzare le politiche industriali in settori strategici e rilevanti per il Paese ha allertato la CGL Nazionale a fine 2024.
Le sfide delle transizioni, verde e digitale, sono enormi e le imprese faticano ad affrontarle. “Da potenziale volano per l’economia rischiano di trasformarsi in un’ulteriore occasione di impoverimento per il nostro sistema produttivo e industriale, con la conseguente crescita della precarietà lavorativa”, è stato l’avvertimento.
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