Riforma delle pensioni: il pressing dei sindacati non andrà a buon fine. Perché è impossibile pensare ad una pensione a 62 anni di età, o a 41 anni di contributi, senza prevedere penalizzazioni in uscita.
I sindacati insistono affinché il Governo possa riconoscere flessibilità in uscita già al compimento dei 62 anni di età (indipendentemente dagli anni di contributi) o comunque una volta raggiunti i 41 anni di contributi. Sicuramente è encomiabile il tentativo delle parti sociali, le quali vorrebbero che ci fosse un abbassamento dell’età pensionabile per ridurre la vita lavorativa delle persone, ma allo stesso tempo bisogna prendere atto della situazione.
E la situazione è quella per cui è impossibile che il Governo Draghi - adesso che si sta per “liberare” di Quota 100 - vada ad autorizzare una misura di flessibilità persino più conveniente - e quindi costosa - di quest’ultima.
Perlopiù senza prevedere penalizzazioni in uscita, aumentando quindi la spesa pensionistica oltre quanto già previsto nei prossimi anni. Il tutto in un contesto in cui l’Unione Europea raccomanda all’Italia di dare piena attuazione della Legge Fornero, condizione che da Bruxelles considerano fondamentale ai fini del riconoscimento delle risorse del Recovery Plan.
Pensione a 62 anni o con Quota 41: le proposte dei sindacati sono (troppo) ambiziose
Personalmente ritengo che i sindacati stiano conducendo, forse persino consapevolmente, una battaglia persa in partenza. D’altronde già nei mesi scorsi il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha spiegato che “la riforma delle pensioni non è una priorità di questo Governo”. E ciò non significa solo che a livello di tempistiche non c’è fretta di mettersi seduti intorno al tavolo per discutere di cosa ne sarà delle pensioni, ma anche che a livello di risorse non si intende stanziare alcunché per la riforma.
Nessun investimento per la riforma delle pensioni: i sindacati sperano nella Legge di Bilancio 2022, ma ad oggi non sembrano esserci le condizioni. Poi è ovvio che il Governo potrebbe sorprenderci, ma al momento non arrivano segnali in tal senso.
E come spiegato da Il Sole 24 Ore, ci sono diversi motivi per cui una riforma delle pensioni che vada ad abbassare l’età pensionabile a 62 anni, come pure ad abbassare il requisito contributivo per la pensione anticipata portandolo a 41 anni, non sembra al momento realizzabile.
Perché Quota 41 e il pensionamento a 62 anni non sono realizzabili
C’è un problema costi, è inutile negarlo. Le opzioni indicate dai sindacati, seppure con impatti diversi, vanno tutte a contribuire ad un pericoloso innalzamento della spesa previdenziale. E proprio del DEF recentemente presentato dal Governo Draghi si legge che questa - pur senza Quota 100 - rimarrà elevata anche nei prossimi anni.
Senza prevedere altre misure di flessibilità, già dal 2026 ci sarebbe un incremento della spesa, la quale alla fine del 2036 raggiungerà un picco del 17,4% del PIL. Un andamento “pericoloso” per i conti pubblici e che soprattutto non rispetta le indicazioni dell’UE che ha chiesto all’Italia di ridurre la spesa pensionistica dando piena attuazione della Fornero. E se negli anni scorsi le raccomandazioni di Bruxelles non avevano chissà che peso, adesso non è così visto l’accesso vincolato alle risorse del Recovery Plan.
Serve essere chiari con i cittadini: non basta raccontare le ambiziose proposte dei sindacati in merito al pensionamento a 62 anni o con 41 anni di contributi. Bisogna anche spiegare che le possibilità di attuazione di queste misure sono minime, se non pari a zero. Specialmente se - come preteso dalle parti sociali - non ci dovranno essere penalizzazioni in uscita per chi anticipa l’accesso alla pensione (oltre a quelle già previste oggi).
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