Per la riforma delle pensioni il governo Meloni punta sulle quote. Ecco di cosa si tratta e qual è l’opzione che ha più possibilità di entrare in vigore nel 2023.
Per la riforma delle pensioni il governo Meloni valuta diversi tipi di quote. Base di partenza quota 41, oggi riservata ad alcune categorie di lavoratori precoci, alla quale verrà aggiunto un requisito anagrafico così limitarne l’accesso a una ridotta platea di persone, con lo scopo di contenere i costi della riforma.
Le indiscrezioni sulla riforma delle pensioni che verrà attuata nel 2023 ci dicono che quota 41 è una possibilità, mentre non è chiara l’età minima che bisognerà avere per potervi ricorrere. D’altronde la stessa ministra del Lavoro, Marina Calderone, qualche giorno fa ha dichiarato che si sta valutando, non sapendo quindi rispondere alla domanda su a quanti anni andremo in pensione nel 2022.
Dopo l’esperienza di quota 100 e quella, fallimentare guardando ai dati, di quota 102, il governo sembra aver intenzione di puntare ancora sulle quote per garantire flessibilità per l’accesso alla pensione.
Cosa sono le quote
Particolarmente utilizzate prima dell’approvazione della riforma Fornero, le quote sono delle misure di flessibilità che consentono l’accesso alla pensione una volta che la somma tra contributi ed età anagrafica dà un certo risultato, indicato appunto nel nome stesso della quota.
Ad esempio, per quota 100 era necessario che sommando l’età anagrafica e l’anzianità contributiva ne risultasse un numero almeno pari a 100. Con l’attuale quota 102, invece, la somma deve dare 102.
Altra quota in vigore oggi è quella riservata ai lavoratori precoci, ossia a coloro che all’età di 19 anni potevano vantare già 12 mesi di contributi. Viene chiamata quota 41, perché appunto basta aver maturato 41 anni di contributi per andare in pensione dal momento che non è prevista un’età minima.
Va detto, però, che nell’ultimo periodo, iniziando con quota 100 e poi continuando con quota 102, sono stati fissati degli ulteriori limiti per le quote. Ad esempio, è stato stabilito che oltre a raggiungere un determinato risultato bisognasse anche rispettare dei “minimi” per quanto riguarda età anagrafica e anzianità contributiva. Ad esempio, per quota 100 l’età minima era 62 anni, mentre il requisito contributivo di 38 anni. Quindi, una persona con 61 anni di età e 39 anni di contributi non poteva comunque accedervi, nonostante la somma dava come risultato 100. Per quota 102, invece, il requisito anagrafico minimo è stato innalzato a 64 anni, mentre quello contributivo è stato mantenuto a 38 anni.
Ebbene, il governo oggi sta valutando una nuova serie di quote così da permettere anche nel 2023 di anticipare l’accesso alla pensione, in deroga a quanto stabilito dalla Legge Fornero.
Quota 102
La preferita dai sindacati è la nuova quota 102, molto diversa da quella in vigore nel 2022 in quanto consentirebbe l’accesso alla pensione a 61 anni anziché a 64 come avviene oggi.
Base di partenza quota 41, quindi per andare in pensione bisognerà aver maturato almeno 41 anni di contributi, circa due anni in meno rispetto a quanto richiesto dall’attuale pensione anticipata.
Costo sostenibile per il 2023, visto che secondo le stime effettuate dai tecnici del governo richiederebbe appena 1 miliardo di euro, ma è destinato a salire vertiginosamente a partire dagli anni successivi.
Ecco perché nel frattempo si stanno prendendo in considerazione anche altre ipotesi.
Quota 104
Per limitare i costi bisognerà innalzare il requisito anagrafico da soddisfare per poter andare in pensione con 41 anni di contributi. L’ipotesi meno onerosa, e che non dispiace al governo, prevede una quota 104, fissando appunto un limite di età a 63 anni.
Tuttavia, ad opporsi a questa misura sono i sindacati, i quali continuano a chiedere l’approvazione di una quota 41 secca, quindi senza alcun requisito anagrafico.
Quota 103
Ecco quindi che un compromesso potrebbe essere raggiunto con quota 103, che come lascia intuire il nome consentirebbe l’accesso alla pensione a coloro che all’età di 62 anni possono vantare almeno 41 anni di contributi.
Ma potrebbe esserci anche una seconda quota 103, consentendo il pensionamento a 61 anni ma con 42 anni di contributi. Va detto che per le donne non sarebbe conveniente, poiché grazie alla pensione anticipata possono già smettere di lavorare una volta raggiunti i 41 anni e 10 mesi di contributi.
Il tutto senza penalizzazioni per l’assegno, anche se va ricordato che è lo stesso sistema di calcolo contributivo a prevedere una pensione più bassa per chi decide di andarci in anticipo.
E quota 41 per tutti?
Ma la Lega continua a spingere su quota 41 secca, senza alcun limite anagrafico. Dello stesso parere i sindacati, mentre Giorgia Meloni predica calma visto che per quest’anno ci sono ben altre emergenze da affrontare.
Ecco perché qualsiasi discorso in merito a quota 41 per tutti, e non solo per i precoci, verrà affrontato solamente per il 2024.
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