Pensioni, c’è la data per il passaggio completo dal retributivo al contributivo: ecco cosa cambierà e a cosa bisognerà prestare attenzione.
Arriverà un giorno in cui tutte le pensioni saranno calcolate con il sistema contributivo e allora sì che si potrà ragionare su una riforma delle pensioni che preveda una maggiore flessibilità in uscita. Ce ne ha dato conferma qualche giorno fa l’ex ministra del Lavoro, Elsa Fornero, commentando per noi di Money.it le ultime notizie sul fronte pensioni.
La Fornero ha spiegato che per il momento è ancora presto per ragionare su delle misure che consentano di andare in pensione in anticipo, a meno che queste non prevedano un ricalcolo interamente contributivo della pensione. Il sistema contributivo, dal quale come spiegato da Mario Draghi “non possiamo prescindere”, è infatti l’unico capace di garantire stabilità al sistema.
È vero che è più penalizzante perché ne risulterà una pensione più bassa di quella calcolata con il retributivo, ma perlomeno si mettono in salvo i conti pubblici. Ed è per questa ragione che una volta terminata la fase di transazione, con il passaggio completo dal retributivo al contributivo, si potrà acconsentire a un pensionamento anticipato, ma facendo attenzione all’importo della pensione: con il sistema di calcolo contributivo, infatti, la pensione tiene conto dei contributi effettivamente versati dal lavoratore nel corso della carriera, con il rischio di percepire un assegno d’importo inadeguato qualora si lavori per un numero ridotto di anni e con stipendi non particolarmente elevati.
Quando tutte le pensioni verranno calcolate con il contributivo
La legge Fornero del 2011 ha approvato il passaggio definitivo dal sistema retributivo a quello contributivo. Per il momento, però, ci troviamo ancora in una fase transitoria, visto che buona parte delle pensioni è ancora calcolata con il sistema misto, quindi per una parte - che si assottiglia ogni anno di più - con il retributivo e per l’altra con il contributivo.
Nel dettaglio, con il sistema di calcolo misto l’assegno viene così suddiviso:
- per la parte di contributi che riferisce a prima dell’1 gennaio 1996 si applicano ancora le regole del retributivo;
- per la parte successiva, invece, si utilizzano le regole del contributivo.
C’è poi un’eccezione, sempre meno applicata con il passare degli anni. Nel dettaglio, viene previsto per coloro che hanno maturato 18 anni di contributi alla data del 31 dicembre 1995 un calcolo retributivo fino al 31 dicembre 2011, e contributivo per la parte seguente.
Viste queste tempistiche, è ovvio che più passano gli anni e più la parte calcolata con il retributivo si riduce e più l’altra, per la quale si utilizzano le regole del contributivo, aumenta. Così come sono in aumento le persone che, avendo iniziato a lavorare nel 1996, hanno una pensione calcolata interamente con il contributivo.
Ma arriverà il momento in cui sarà per tutti così, si tratta di un processo naturale che è destinato al compimento nei primi anni del 2030. Chi andrà in pensione in quegli anni, quindi, avrà la pensione calcolata interamente con le regole dettate dal contributivo.
Allora sì che, messo da parte per sempre il retributivo, si potrà anche ragionare su come permettere di anticipare l’accesso alla pensione a chi lo volesse.
Come cambia l’accesso alla pensione una volta che ci sarà solo il contributivo
Con il sistema contributivo la pensione viene calcolata tenendo conto dei soli contributi versati dal lavoratore. Per questo motivo - anche per merito dei coefficienti di trasformazione che premiano chi ritarda l’accesso alla pensione, e viceversa - chi va in pensione prima andrà a percepire un assegno più basso.
Un meccanismo che garantisce sostenibilità alle casse dello Stato ed è per questo che una volta che tutte le pensioni saranno calcolate con il contributivo si potrà rendere più flessibile l’attuale sistema.
D’altronde è la stessa riforma Fornero a riconoscere la possibilità di andare in pensione all’età di 64 anni, anziché 67, ma solo quando l’assegno ha un importo pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale. Come spiegato dalla professoressa Fornero, infatti, è importante fissare un importo minimo di assegno, altrimenti anticipando il collocamento in quiescenza si rischia una pensione molto bassa e inadeguata per far fronte alle spese quotidiane, con lo Stato che dovrà intervenire direttamente per aiutarlo.
Ricordiamo che il contributivo fissa una soglia minima anche per coloro che intendono accedere alla pensione di vecchiaia a 67 anni. In tal caso la pensione deve avere un importo di almeno 1,5 volte l’assegno sociale, il che significa - guardando alle cifre in vigore nel 2022 - almeno 700 euro di pensione.
Chi non riesce a garantirsi un tale importo dovrà lavorare per più tempo, anche fino al compimento dei 71 anni se serve.
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