Pensione, che succede a chi muore prima dell’età pensionabile?

Simone Micocci

30 Aprile 2024 - 09:36

Che fine fa la pensione di chi muore prima di aver raggiunto i requisiti per andarci? Dipende da quanti sono gli anni lavorati.

Pensione, che succede a chi muore prima dell’età pensionabile?

Come noto, per andare in pensione serve generalmente soddisfare due tipi di requisiti: uno anagrafico e l’altro contributivo. Ad esempio, per la pensione di vecchiaia servono 67 anni di età e 20 anni di contributi, mentre per quella anticipata bastano 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) indipendentemente dall’età.

Il rischio di non arrivare ai requisiti per la pensione a causa di un evento drammatico che porta alla morte purtroppo esiste, per quanto i dati sulle aspettative di vita ci dicano che la percentuale è piuttosto bassa.

Tuttavia, visto che il rischio sussiste è bene interrogarsi su che fine fa la pensione maturata al momento del decesso. Come vedremo di seguito ci sono due diverse possibilità: la prima è che venga comunque liquidata in favore di coniuge e figli, o altri parenti stretti in casi eccezionali, l’altra è che ne venga riconosciuta una minima parte attraverso un indennizzo liquidato in un’unica soluzione.

Pensione indiretta

Nonostante per raggiungere la pensione serva soddisfare determinati requisiti, senza i quali i contributi maturati fino a quel momento si perdono, alla morte della persona che non ha ancora raggiunto l’età pensionabile potrebbe comunque esserci la liquidazione dell’assegno in favore dei suoi familiari.

Andiamo con ordine: quando il decesso avviene con la pensione già liquidata non c’è alcun problema. Il coniuge superstite, i figli, o in alternativa i genitori, fratelli e sorelle, hanno diritto alla cosiddetta pensione di reversibilità, anche laddove abbiano fatto rinuncia dell’eredità.

Diversamente, se la pensione non è stata ancora liquidata, si guarda ai contributi maturati dal defunto. Nel caso in cui dovessero esserci almeno 15 anni di contributi, oppure almeno 5 anni di cui almeno 3 maturati nel quinquennio precedente la data del decesso, ai parenti superstiti viene riconosciuta la cosiddetta pensione indiretta.

Tolto il nome e i requisiti per averne diritto, non ci sono differenze con la pensione di reversibilità. Quindi ne hanno diritto:

  • coniuge, anche se separato o divorziato (ma solo laddove sia titolare dell’assegno divorzile, non sia passato a nuove nozze e che la data di inizio del rapporto assicurativo del defunto sia anteriore alla data della sentenza di divorzio);
  • figli minorenni, inabili al lavoro, studenti a carico di età inferiore ai 21 anni, o 26 anni nel caso in cui frequentino l’Università;
  • in assenza di coniuge e figli, oppure laddove questi non ne abbiano diritto, la pensione indiretta può andare ai genitori dell’assicurato, a patto che siano over 65, non siano titolari di altre pensioni (dirette o indirette) e risultino a carico del lavoratore deceduto;
  • in assenza di coniuge, figli e genitori, o comunque laddove questi non ne abbiano diritto, spetta anche a fratelli e sorelle ma solo se non sposati, inabili al lavoro, non titolari di pensione diretta o indiretta e a carico del lavoratore deceduto.

Anche la ripartizione in quote della pensione indiretta è la stessa di quella di reversibilità. Nel dettaglio, una volta calcolata la pensione maturata fino a quel momento, utilizzando in base al periodo a cui riferiscono periodi lavorati il sistema retributivo o contributivo, se ne riconosce la seguente quota:

  • coniuge solo: 60%;
  • coniuge e un figlio: 80%;
  • coniuge e due o più figli: 100%.
  • un figlio: 70%;
  • due figli: 80%;
  • tre o più figli: 100%;
  • un genitore: 15%;
  • due genitori: 30%;
  • un fratello o sorella: 15%;
  • due fratelli o sorelle: 30%;
  • tre fratelli o sorelle: 45%;
  • quattro fratelli o sorelle: 60%;
  • cinque fratelli o sorelle: 75%;
  • sei fratelli o sorelle: 90%;
  • sette o più fratelli o sorelle: 100%.

Va detto però che se il beneficiario della pensione indiretta ha altri redditi l’importo potrebbe essere tagliato. Pensione e redditi, infatti, sono pienamente cumulabili solo quando quest’ultimi non superano di 3 volte il trattamento minimo (23.345,73 euro nel 2024). In caso contrario scatta un taglio del:

  • 25% tra le 3 e le 4 volte il trattamento minimo di pensione, ossia entro la soglia che va da 23.345,73 euro a 31.127,64 euro;
  • 40% tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo, quindi sopra i 31.127,64 euro ma entro i 38.909,55 euro;
  • 50% sopra le 5 volte, ossia oltre la soglia di 38.909,55 euro.

Non sono previsti tagli nel caso in cui il beneficiario faccia parte di un nucleo familiare con figli minori, studenti o inabili.

Indennità una tantum di morte

Quando invece il lavoratore defunto non soddisfa i requisiti minimi per il riconoscimento della pensione indiretta alla famiglia viene riconosciuta un’indennità una tantum.

Nel dettaglio, dobbiamo distinguere tra:

  • indennità di morte, spettante al coniuge dell’assicurato defunto con almeno un contributo settimanale versato entro il 31 dicembre 1995. In assenza del coniuge ne hanno diritto i figli se minori, inabili o studenti. L’importo è pari a 45 volte l’ammontare dei contributi IVS versati in favore dell’assicurato (limite minimo di 22,31 euro e massimo di 66,93 euro);
  • indennità una tantum ai superstiti: spetta agli stessi familiari che avrebbero avuto diritto alla pensione indiretta, nel caso di lavoratori assicurati che rientrano interamente nel contributivo (avendo contributi settimanali versati esclusivamente dopo il 1996). L’importo è pari a l’ammontare mensile dell’Assegno sociale (oggi pari a 534,41 euro), in vigore alla data di decesso dell’assicurato, moltiplicato per gli anni di contributi. Ad esempio, per il lavoratore deceduto con soli 3 anni di contributi, viene ripartito un assegno di circa 1.600 euro.

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