Qual è la pensione minima e come cambia nel 2025? Ecco quando spetta l’integrazione.
Quante volte hai sentito parlare di pensione minima? Probabilmente spesso, ma per quanto ci hai provato non hai capito bene come funziona e in che modo questa incide sul calcolo della pensione.
D’altronde, per quanto in Italia esista una soglia comunemente chiamata “pensione minima”, non è comunque raro che esistano assegni inferiori a un tale importo. A tal proposito è lecito chiedersi a cosa serve effettivamente la pensione minima se poi di fatto ci sono assegni che hanno un importo più basso? La spiegazione è semplice: lo Stato assicura un certo importo solamente a chi si trova in una condizione economica di difficoltà. Non interviene invece in favore di chi, pur avendo una pensione bassa percepisce altri redditi che gli permettono di arrivare serenamente alla fine del mese.
E non è tutto, perché anche il periodo lavorato prima della pensione incide sulla garanzia di una pensione minima. Il legislatore, infatti, ha precluso un tale diritto a chi non ha contributi maturati entro il 31 dicembre 1995. I cosiddetti contributivi puri, ossia chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, sono quindi tagliati fuori dalla possibilità di assicurarsi un integrazione tale da raggiungere l’importo minimo di pensione, il che è un problema molto grave perché in futuro c’è il rischio che sempre più persone non raggiungano una rendita adeguata.
A tal proposito, è importante fare chiarezza non solo su qual è l’importo minimo della pensione, e a cosa serve, ma anche su chi effettivamente ne ha diritto. Vediamo tutto quello che serve sapere a riguardo, nonché quali sono le novità in arrivo nel 2025.
Pensione minima, importo 2024
Ogni anno l’importo del trattamento minimo di pensione Inps viene adeguato all’inflazione, al pari di quanto previsto per pensioni e trattamenti assistenziali (come nel caso dell’Assegno sociale).
A tal proposito, per effetto della rivalutazione del 5,4% attuata a inizio 2024, quest’anno il valore della pensione minima è pari a 598,61 euro mensili, 7.781,93 euro l’anno.
L’integrazione al trattamento minimo
Una volta fissato l’importo della pensione minima vanno individuate quelle pensioni che essendo al di sotto di questa soglia hanno diritto all’integrazione.
Il che significa, ad esempio, che chi prende 300 euro può godere di un incremento di 298,61 euro così da raggiungere l’importo minimo.
Come anticipato, però, non basta avere una pensione inferiore al trattamento minimo per avere diritto all’integrazione, poiché in primis è necessario che l’assegno sia stato calcolato pur parzialmente con le regole del retributivo. Più semplicemente, devono esserci periodi coperti da contribuzione antecedenti al 31 dicembre 1995.
Inoltre, non è detto che il pensionato abbia diritto per intero all’integrazione, in quanto la presenza di altri redditi fa la differenza sull’importo.
Nel dettaglio, laddove il complesso dei redditi del pensionato risulti inferiore a 7.781,93 euro l’anno, ossia l’importo del trattamento minimo annuo, allora l’integrazione spetta per intero, se invece è superiore ma comunque al di sotto di 15.563,86 euro (2 volte il trattamento) l’integrazione è parziale ed è così calcolata:
(15.563,86 - Reddito complessivo pensionato)/13*
*Ovviamente la pensione maggiorata sarà in ogni caso di massimo 598,61 euro.
Prendiamo come esempio un pensionato-lavoratore che prende una pensione di 250 euro al mese e lavora part-time guadagnandone 600 euro. Complessivamente ha un reddito di 11.050 euro, quindi avrà diritto a un’integrazione pari a:
(15.563,86 - 11.050)/13 = 347,22 euro
Di fatto, la pensione maggiorata è appena al di sotto del minimo, in quanto pari a 597,22 euro.
Adesso consideriamo un pensionato-lavoratore full-time, che guadagna 1.300 euro al mese e prende 250 euro di pensione. Ha un reddito di 20.150 euro: non avrà così diritto ad alcuna integrazione.
La presenza di altri redditi, quindi, fa la differenza sulla percezione dell’integrazione al trattamento minimo.
Rivalutazione straordinaria
Non bisogna soddisfare alcun limite di reddito, né tantomeno aver maturato almeno un contributo settimanale prima del 31 dicembre 1995, per avere diritto alla rivalutazione straordinaria introdotta dalla legge di Bilancio 2023, quest’anno pari al 2,7%.
Ogni pensione di importo inferiore al minimo, infatti, gode di una tale maggiorazione: ciò significa che la pensione minima può salire al massimo di ulteriori 16,16 euro, arrivando così a 614,77 euro.
Una pensione di 300 euro - sia se già integrata oppure no - gode invece di un incremento di 8,10 euro, 10,80 euro in più per chi ne prende 400.
Pensione minima, come cambia nel 2025
Come visto sopra, la pensione minima ogni anno viene rivalutata sulla base dell’inflazione. Per il 2025 la percentuale stimata (contenuta nel Def) è pari all’1,6%, il che significa che la soglia minima potrebbe salire di 9,57 euro, arrivando così a 608,18 euro (7.906 euro circa l’anno).
Va detto però che il governo dovrà sciogliere le riserve sulla possibilità di confermare anche la rivalutazione straordinaria del 2,7%, visto che le risorse stanziate bastano appena per il 2024.
Servirà quindi intervenire se si vuole portare la minima a circa 625 euro; in caso contrario l’importo sarebbe persino più basso rispetto a quello attuale (614 rispetto a 608 euro).
Difficile invece che il governo dia il via libera all’estensione del diritto all’integrazione minima anche per coloro che rientrano interamente nel regime contributivo. Una misura che è nel programma per questa legislatura ma che costa troppo.
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