Solitamente è l’interessato a decidere se andare in pensione o continuare a lavorare: allo scattare di determinate condizioni, però, questa decisione spetta al datore di lavoro.
Andare in pensione è il sogno di tutti i lavoratori, o quasi: ce ne sono alcuni, infatti, che pur avendo raggiunto l’età pensionabile non hanno alcuna intenzione di smettere di lavorare.
D’altronde, solitamente lo stipendio è più alto della pensione e già questa potrebbe essere la causa che porta il lavoratore a rimandare l’accesso alla pensione. Senza dimenticare poi che con il sistema di calcolo contributivo l’assegno alla pensione dipende dal monte contributivo: quindi, più sono gli anni di lavoro - e più alti gli stipendi percepiti - e maggiore sarà l’importo futuro della pensione.
Sono diversi i motivi per cui - pur avendo raggiunto i requisiti per la pensione - si decide di rimandare, almeno per il momento, il collocamento in quiescenza. Resta da capire se da parte sua un datore di lavoro può decidere di obbligare un proprio dipendente ad andare in pensione, licenziandolo per giustificato motivo.
Il pensionamento forzato è una possibilità, sia per i dipendenti privati che per gli statali; a seconda dei casi, però, ci sono delle condizioni differenti da soddisfare affinché un datore di lavoro possa obbligare uno o più dipendenti ad accedere alla pensione una volta raggiunti i requisiti previsti dall’attuale normativa.
Dipendenti del settore privato: quando è obbligatorio andare in pensione?
Soffermiamoci sui dipendenti del settore privato facendo chiarezza su quando il datore di lavoro può obbligarli ad accedere alla pensione. Come noto ci sono diverse opzioni di pensionamento: a 67 anni (e 20 anni di contributi) si accede alla pensione di vecchiaia, mentre con 42 anni e 10 mesi di contributi (e indipendentemente dall’età anagrafica) alla pensione anticipata.
Ebbene, dovete sapere che il datore di lavoro non può licenziare un dipendente che avendo raggiunto i suddetti requisiti potrebbe richiedere l’accesso alla pensione di vecchiaia o anticipata. Spetta al dipendente stesso, infatti, decidere se continuare a lavorare o se andare in pensione.
Esiste però un limite di età oltre il quale il datore di lavoro può licenziare il dipendente obbligandolo al conseguimento della pensione. È la Legge Fornero del 2011 ad indicarlo, specificando che al compimento dei 70 anni e 7 mesi è consentito il licenziamento ad nutum, ossia senza obbligo di motivazione.
Tuttavia, come specificato dalla Cassazione, affinché il licenziamento sia legittimo è necessario che al momento della cessazione dell’attività lavorativa la prestazione venga erogata immediatamente. In poche parole si può licenziare liberamente un lavoratore che all’età di 70 anni e 7 mesi ha raggiunto tutte le condizioni necessarie ai fini del riconoscimento della pensione.
Dipendenti pubblici: quando è obbligatorio andare in pensione?
Anche per i dipendenti pubblici esistono dei casi in cui si procede con il pensionamento d’ufficio; non sempre, quindi, è il lavoratore a decidere se continuare o meno a lavorare.
A seconda del ruolo ricoperto esiste un’età ordinamentale, ovvero quel limite anagrafico oltre il quale il lavoratore non può decidere se continuare o meno l’attività visto che scatta il pensionamento d’ufficio. Solitamente l’età ordinamentale è pari a 65 anni, ma varia dall’ordinamento a cui il lavoratore appartiene.
È bene precisare, comunque, che oltre all’età ordinamentale il lavoratore deve aver raggiunto anche i requisiti per la pensione di vecchiaia o per quella anticipata.
Nel caso in cui, invece, il dipendente pubblico abbia sì maturato i requisiti per la pensione, ma sia ancora al di sotto dell’età ordinamentale, spetterà all’amministrazione decidere se continuare il rapporto di lavoro oppure se interromperlo.
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