Rivalutazione delle pensioni: i sindacati chiedono di rivedere il meccanismo introdotto con la Legge di Bilancio 2019. Gli assegni potrebbero aumentare nuovamente.
Novità sulle pensioni potrebbero arrivare dall’incontro che sindacati e Governo terranno questo venerdì (11 ottobre) a Palazzo Chigi. Un tavolo tecnico programmato per discutere di un tema molto caro ai sindacati, talmente tanto che nei mesi scorsi li ha spinti a scendere in piazza per protestare contro le riforme pensionistiche approvate da Lega e Movimento 5 Stelle: stiamo parlando del meccanismo che rivaluta gli importi delle pensioni, per il quale il precedente Governo ha introdotto un nuovo meccanismo di calcolo.
Un sistema più svantaggioso rispetto a quello che sarebbe dovuto entrare in vigore dal 1° gennaio 2019, specialmente per coloro che hanno un importo della pensione particolarmente elevato.
Proprio nei giorni in cui l’Inps sta chiedendo indietro i soldi erogati in più nei mesi precedenti all’introduzione del nuovo meccanismo di rivalutazione, ecco che le regole potrebbero cambiare nuovamente. Non è così scontato che ciò avvenga, anzi: nel 2020, infatti, il Governo non ha intenzione di fare granché per le pensioni, se non prorogare Opzione Donna e l’Ape Sociale come descritto nella nota di aggiornamento al DEF 2019.
Ma i sindacati ci proveranno, con la speranza che il Governo faccia un passo indietro rispetto a quanto deciso lo scorso anno: una decisione che non è proprio piaciuta ai rappresentanti dei lavoratori, i quali - nonostante l’introduzione di Quota 100 e l’estensione di Opzione Donna - hanno comunque deciso di scendere in piazza (in più di un’occasione).
Rivalutazione delle pensioni: si torna di nuovo indietro?
Il 1° gennaio 2019 sarebbe dovuto rientrare in vigore il meccanismo di rivalutazione (ossia lo strumento con il quale le prestazioni sociali vengono adeguati all’aumento del costo della vita rilevato dall’ISTAT) descritto dalla legge 388/2000.
Qui vi sono tre fasce di rivalutazione; nel dettaglio, per le pensioni di importo inferiore a tre volte il trattamento minimo (pari a 507,42 euro mensili nel 2018) la rivalutazione è al 100%. Si scende al 90% per gli assegni di importo compreso tra le tre e le cinque volte il trattamento minimo, mentre per gli assegni superiori a 5 volte il trattamento minimo si va al 75%.
Tuttavia, per recuperare risorse da utilizzare per la riforma delle pensioni il Governo Lega-M5S decise di introdurre un nuovo meccanismo di rivalutazione che va a penalizzare gli assegni con importo superiore alle tre volte il trattamento minimo, ossia 1.522,26€.
Nel dettaglio, il meccanismo rinnovato prevede le seguenti percentuali:
- importo superiore a 3 volte, ma inferiore a 4 volte (2.029,68€): 97% del tasso di riferimento, ossia 1,067%. Fascia di garanzia: oltre 2.029,68€ e fino a 2.034,10€ sono garantiti 2.051,34€ ;
- importo superiore a 4 volte, ma inferiore a 5 volte (2.537,10€): 77% del tasso di riferimento, ossia allo 0,847%. Fascia di garanzia: oltre 2.537,10€ e fino a 2.544,04€ sono garantiti 2.558,59€;
- importo superiore a 5 volte ma inferiore a 6 volte (3.044,52€): 52% del tasso di riferimento, ossia lo 0,572%. Fascia di garanzia: oltre € 3.044,52 e fino a € 3.046,19 sono garantiti 3.061,93€;
- importo superiore a 6 volte ma inferiore a 8 volte (4.059,36€): 47% del tasso di riferimento, ossia lo 0,517%. Fascia di garanzia: oltre 4.059,36€ e fino 4.060,25€ sono garantiti 4.080,35€;
- importo superiore a 8 volte ma inferiore a 9 volte (4.566,78€): 45% del tasso di riferimento, ossia lo 0,495% per il 2019. Fascia di garanzia: oltre 4.566,78€ e fino a 4.569,28€ sono garantiti 4.589,39€;
- importo superiore a 9 volte il trattamento minimo: 40% del tasso di riferimento, lo 0,44%.
Con questo rinnovato sistema di perequazione c’è una differenza di importo variabile a seconda dell’assegno del pensionato: per le fasce più basse si parla di pochi euro, per quelle più elevate di una decina ogni mese.
Cifre non particolarmente rilevanti ma sufficienti per far recuperare allo Stato un risparmio di 253 milioni nel 2019, altri 742 nel 2020 e 1,2 miliardi nel 2021. Una decisione che non piacque né ai sindacati né ai pensionati interessati e che adesso potrebbe portare il Governo Conte a fare un passo (seppur parziale) indietro reintroducendo le regole ordinarie per la rivalutazione.
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