Pensioni, che beffa per gli esclusi da Quota 100: smetteranno di lavorare 5 anni dopo

Antonio Cosenza

4 Ottobre 2019 - 09:25

Pensioni: con la scadenza di Quota 100 i requisiti per il collocamento in quiescenza aumenteranno di cinque anni. Ecco chi ne sarà maggiormente penalizzato.

Pensioni, che beffa per gli esclusi da Quota 100: smetteranno di lavorare 5 anni dopo

Per gli esclusi da Quota 100 la strada verso la pensione sarà molto più lunga rispetto a quanto previsto dalla misura. Tra il 2021 e il 2022, infatti, ci sarà un importante salto in avanti dei requisiti per l’accesso alla pensione che - vista la scadenza della sperimentazione di Quota 100 - aumenteranno di secco di cinque o sei anni.

È il Sole 24 Ore a lanciare l’allarme per gli esclusi da Quota 100, ossia coloro che per pochi mesi non riusciranno a soddisfare i requisiti previsti per andare in pensione in anticipo entro la data del 31 dicembre 2021. Il quotidiano ricorda di come lo stesso senatore del Partito Democratico - Tommaso Nannicini - quando era all’opposizione aveva lanciato un “allarme Quota 100”, chiedendo all’allora Governo Giallo-Verde un provvedimento che potesse rendere meno dolorosa la scadenza di questa misura.

Il problema è che per pochi mesi di differenza - sia nell’età che nel monte contributivo - rischiano di esserci due diverse strade per il pensionamento, l’una molto più lunga dell’altra.

Pensione con Quota 100: cosa cambia per i nati nel 1960

Come noto, Quota 100 è riservata a coloro che entro la data del 31 dicembre 2021 avranno raggiunto un’età anagrafica e un monte contributivo che se sommati danno come risultato 100. Per entrambi c’è un minimo da soddisfare: l’età anagrafica non può essere inferiore a 62 anni, mentre gli anni di contributi devono essere almeno 38.

Di conseguenza l’accesso alla pensione anticipata con Quota 100 è riservata a coloro che sono nati entro il dicembre del 1959. Per capire dove sta il problema prendiamo come esempio un caso limite: un lavoratore nato a dicembre 1959 e un altro nel gennaio del 1960, con entrambi che maturano i 38 anni di contributi entro le scadenze previste.

Ebbene, visto quanto detto in precedenza, c’è il rischio concreto che - a parità di anni di lavoro - uno possa andare in pensione già al compimento dei 62 anni, mentre l’altro dovrà attendere almeno altri cinque anni (o poco meno).

Quel mese di differenza nella data di nascita comporterà un rilevante slittamento della data del pensionamento: il lavoratore nato nel gennaio del 1960, infatti, dovrà attendere il compimento dei 67 anni per ricorrere alla pensione di vecchiaia, o in alternativa lavorare per altri 4 anni e 10 mesi e accedere alla pensione anticipata (per la quale sono necessari 41 anni e 10 mesi di contributi). In quest’ultimo caso, quindi, l’accesso alla pensione avverrà nel 2026, mentre per la pensione di vecchiaia persino nel 2029.

Quota 100: perché è necessaria un’armonizzazione dei requisiti

Con la scadenza di Quota 100, quindi, ci sarà un “super scalone” che - come ricorda Il Sole 24 Ore - sarà persino peggiore a quello introdotto dalla riforma Maroni nel 2004. Allora tra il gennaio 2008 e il dicembre 2017 ci fu un balzo di tre anni della data del pensionamento; ecco perché ci fu immediatamente la riforma Damiano che portò ad un’armonizzazione dei requisiti per la pensione con un aumento della spesa previdenziale di circa 65 miliardi di euro nei dieci anni successivi.

La stessa situazione, se non peggiore, ci potrebbe essere nel 2022 quando si potrà parlare di “esodati di Quota 100”; nuovi esodati che necessiteranno di una salvaguardia, con tutti i costi che ne derivano.

Di questo comunque non se ne parlerà nel 2020, per quanto sarebbe stato opportuno pensare fin da subito ad una soluzione: ma non sarà così, visto che tra le novità annunciate dalla nota di aggiornamento al DEF - tra cui figurano la proroga di Opzione Donna e il fondo di previdenza complementare pubblico - non ci sono riferimenti a Quota 100.

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