Divieto di cumulo tra stipendio e pensione per chi riprende a lavorare dopo le «quote». Il Tribunale di Vicenza rivede l’interpretazione della norma data dall’Inps e restituisce la pensione.
Riprendere a lavorare dopo la pensione è sempre consentito, eccetto nel caso in cui il collocamento in quiescenza è avvenuto con una delle misure che vieta il cumulo tra stipendio e pensioni.
Ci riferiamo, ad esempio, a Quota 100, Quota 102 e Quota 103, misure che da una parte consentono di smettere di lavorare in anticipo ma dall’altra, giustamente, stabiliscono che per tutto il periodo che manca al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia non è possibile avviare una nuova attività lavorativa, né come autonomo che come lavoratore subordinato, pena la restituzione dell’importo della pensione fino a quel momento percepita. L’unica eccezione è rappresentata dalle collaborazioni occasionali, entro un limite di 5.000 euro l’anno.
Una regola introdotta per favorire il ricambio generazionale ma che l’Inps in quest’ultimo periodo ha applicato alla lettera sfavorendo anche quei pensionati che ignari di quanto potesse succedere hanno commesso un minimo errore. Perché se da una parte è vero che la legge non ammette ignoranza, dall’altra è impensabile che ci siano pensionati costretti a restituire migliaia di euro semplicemente per aver svolto una o due giornate di lavoro.
Persone che hanno fatto la comparsa in un film (rapporto inquadrato come subordinato), oppure chi è stato messo in regola per pochi giorni semplicemente per coprire una sostituzione di un lavoratore in malattia. Errori commessi chiaramente in buona fede, dai quali ne è risultato un guadagno irrisorio per l’attività svolta.
È quanto successo ad esempio a un pensionato vicentino, al quale la comparsa in una serie Tv è costata ben 24 mila euro. Una vicenda che potrebbe essere l’inizio della svolta: il giudice incaricato di decidere, infatti, ha ritenuto che in determinate circostanze, ossia quando il guadagno è irrisorio rispetto alle somme da restituire, la richiesta dell’Inps non è legittima.
Una sentenza destinata a fare giurisprudenza, obbligando l’Istituto a restituire eventuali importi trattenuti a quei pensionati che sono stati oggetto della sanzione suddetta.
La vicenda
Il fatto racconta di un pensionato 63enne che dopo essere andato in pensione con Quota 100 nel 2020 accetta di prendere parte con un gruppo di amici a una comparsa di una giornata per la serie Tv “La luce dei miei occhi”, pagata appena 78 euro. Trattandosi di un compenso dichiarato e configurandosi come un lavoro di tipo subordinato, l’Inps una volta venuta a conoscenza dell’attività svolta ha applicato la sanzione prevista dal decreto n. 4 del 2019 (convertito in legge n. 26 dello stesso anno) chiedendo la restituzione di quanto fino ad allora accreditato, pari a 24 mila euro.
Un errore commesso in buona fede che ha visto dall’altra parte l’intransigenza dell’Istituto, come tra l’altro successo a tanti altri pensionati che erroneamente credevano di non rischiare nulla svolgendo sporadicamente una qualche attività lavorativa in regola. D’altronde che differenza c’è tra una collaborazione occasionale, ad esempio, di 3.000 euro, e un lavoro di una giornata pagato meno di 100 euro? Ai sensi della normativa tanta, paradossalmente sfavorendo quest’ultimo.
Ma il Tribunale di Vicenza, in una sentenza destinata a ribaltare tutto, non la pensa allo stesso modo.
La sentenza del Tribunale
Non volendo accettare quanto accaduto, il pensionato si è rivolto agli avvocati Paola Piccoli e Alberto Righi dello studio legale associato Vis così da opporsi alla richiesta di restituzione presentata dall’Inps.
Gli avvocati, convinti che una tale esperienza non possa essere considerata come un’attività di lavoro subordinata in senso stretto, e per questo motivo non idonea a violare il divieto di cumulo di pensione e reddito da lavoro dipendente previsto dalla normativa, lo hanno assistito nel contenzioso arrivando a un’importante vittoria.
Il giudice del Lavoro del Tribunale di Vicenza, Paolo Sartorello, ha infatti ritenuto fondato il ricorso, sostenendo che “un’interpretazione conforme alla ratio della norma impone dunque di considerare compatibili con l’erogazione della pensione ‘Quota 100’ redditi di irrisorio importo derivanti da prestazioni del tutto isolate, aventi carattere di specialità tali da differenziarle sostanzialmente dal tipico rapporto di lavoro subordinato”.
Per quanto una tale esperienza si configuri nella forma come un rapporto di lavoro subordinato, l’importo percepito è talmente irrisorio che va considerato compatibile con la pensione maturata grazie alle regole di Quota 100 (e di conseguenza vale anche per Quota 102 e 103). Come facilmente intuibile, si tratta di esperienze aventi carattere di specialità, che nella sostanza vanno distinte dal tipico rapporto di lavoro subordinato.
Una sentenza destinata a fare giurisprudenza, intervenendo in tutti quei casi in cui l’Inps, dando un’interpretazione molto severa della norma, agisce nei confronti di quei pensionati che di certo non hanno tratto vantaggio da uno o due giorni di lavoro.
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