Riforma delle pensioni, tra Salvini e Meloni il dibattito è costante: la presidente del Consiglio è favorevole a Quota 41 per tutti ma a una sola condizione.
Secondo indiscrezioni, tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni c’è stato un confronto per quanto riguarda la riforma delle pensioni. Sembra, infatti, che il leader della Lega abbia chiesto alla presidente del Consiglio le garanzie per scongiurare il ritorno della legge Fornero nel 2024, estendendo a tutti la possibilità di accedere alla pensione con 41 anni di contributi.
La sensazione, infatti, è che Giorgia Meloni abbia posto la questione previdenziale in fondo alle priorità già programmate per il 2024, una su tutte la riforma fiscale. Ma c’è anche il taglio del cuneo fiscale da confermare (che potrebbe richiedere fino a 10 miliardi di euro), con un occhio alla questione energetica e agli aiuti contro l’inflazione.
Se avesse potuto, quindi, avrebbe già rimandato la riforma delle pensioni al 2025, ma il pressing del Carroccio non può essere sottovalutato: ed è per questo che il confronto va avanti (ma prima di ottobre difficilmente si arriverà a un punto di svolta) e allo studio c’è come rendere sostenibile Quota 41 per tutti che nonostante le difficoltà la Lega vorrebbe approvare fin da subito.
Quota 41 per tutti, sì di Meloni ma a una condizione
Giorgia Meloni sembrerebbe aver dato il via libera all’estensione di Quota 41, consentendo così a ogni lavoratore di poter andare in pensione una volta raggiunti i 41 anni di contribuzione (indipendentemente dall’età).
Tuttavia, secondo le stime della Ragioneria di Stato estendere a tutti la possibilità di ricorrere a Quota 41 comporterebbe un costo annuo di 5 miliardi di euro, con picchi anche di 9 miliardi. Troppo alto, il rischio è di compromettere la stabilità del sistema pensionistico.
Ecco perché accetterà solamente una Quota 41 con penalizzazione, così da limitarne i costi. L’ipotesi più accreditata - ma che non piace ai sindacati - prevede un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno per coloro che vanno in pensione con 41 anni di contributi anziché attendere che vengano maturati i requisiti per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, uno in meno per le donne).
Un ricalcolo che comporterebbe una penalizzazione sulla pensione, con l’interessato che quindi si farebbe parzialmente carico del costo necessario per anticipare la pensione. Il che potrebbe limitarne la platea dei beneficiari, visto che in molti anziché vedersi decurtare l’assegno di un 10%-15% (a seconda dei casi) potrebbero scegliere di continuare a lavorare per circa 2 anni in più rimandando l’accesso alla pensione a quando verranno maturati i requisiti fissati dalla legge Fornero.
Ecco perché ai sindacati - che vorrebbero un pensionamento senza penalizzazioni a 62 anni di età oppure in alternativa con 41 anni di contributi - questa soluzione non piace. Ma diversamente, per un fattore di costi, non si potrà fare.
Per i gravosi torna Quota 96?
Meno ostacoli a un ritorno di Quota 96 (61 anni di età e 35 anni di contributi).
Nel progetto che sta circolando i queste ore tra gli uffici del ministero del Lavoro, infatti, si parla di riservare tale possibilità ai soli lavoratori che svolgono determinate mansioni riconosciute come gravose, o usuranti, ai sensi della normativa; la platea, quindi, già sarebbe alquanto circoscritta, con un esborso limitato.
E nel frattempo verrebbero tutelati quei lavoratori che più meritano di andare in pensione in anticipo vista la gravosità della professione svolta (a differenza di quanto accadrebbe con Quota 41). Tra questi potrebbero esserci anche le donne, per le quali si cerca una soluzione per il dopo Opzione Donna (che invece non dovrebbe essere confermata).
Senza dimenticare che Quota 96 è stata cancellata dalla riforma del 2011: un suo ritorno rappresenterebbe così un segnale importante del governo che potrebbe vantarsi di aver smantellato un piccolo pezzetto della legge Fornero.
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