Pensioni, guida al calcolo dell’assegno per chi ci va nel 2024: ecco come farsi un’idea di quanto spetta.
Con la (quasi) ufficialità della legge di Bilancio possiamo rispondere alla domanda su cosa serve per andare in pensione nel 2024: dalla Fornero alla conferma di Quota 103 (ma con penalizzazioni), a cui si aggiungono Opzione Donna e l’Ape Sociale.
A questo punto, non ci resta che rispondere alla domanda su quanto prende di pensione chi ci va nel 2024, analizzando quelle che sono le regole per il calcolo dell’assegno. Regole che non subiscono differenze rispetto al 2023: si continua quindi a suddividere i contributi in base al periodo in cui sono stati accreditati, utilizzando le regole di trasformazione previste dal sistema retributivo per quelli che riferiscono agli anni antecedenti al 1 gennaio 1996 e a quelle del contributivo per i periodi successivi.
Nel solo caso di coloro che alla data del 31 dicembre 1995 hanno maturato almeno 18 anni di contributi, le regole del retributivo si applicano fino al 31 dicembre 2011 mentre quelle del contributivo per gli anni a venire.
Senza dimenticare, inoltre, che tanto per Opzione donna quanto per Quota 103 chi va in pensione deve accettare un calcolo totalmente contributivo della pensione. Un’operazione che nella maggior parte dei casi genera uno svantaggio, in quanto il sistema contributivo è più svantaggioso di quello retributivo.
A tal proposito, vediamo quali sono le regole per calcolare la pensione per coloro che ci andranno nel 2024: proveremo a semplificare il più possibile, in modo che anche i meno esperti possano farsi un’idea a riguardo.
Come calcolare la pensione con il sistema retributivo
Come anticipato, solitamente la pensione è composta da due quote: una calcolata con le regole del retributivo e un’altra su cui invece si applicano quelle del contributivo. Un calcolo che viene definito come “misto”, dove la somma delle due componenti restituirà il valore complessivamente percepito.
Nel dettaglio, nel caso del sistema retributivo il trattamento pensionistico a sua volta è calcolato in due diverse quote:
- Quota A (anzianità maturate al 31 dicembre 1992) che consiste nella media degli ultimi 5 anni (ossia 260 settimane) delle retribuzioni utili percepite dal lavoratore dipendente del settore privato, o persino dell’ultimo anno per il dipendente del pubblico impiego. Per i lavoratori autonomi, invece, si guarda agli ultimi 10 anni (520 settimane);
- Quota B (anzianità maturate dal 1° gennaio 1993 al 31 dicembre 1995, oppure al 31 dicembre 2011 per il lavoratore che entro questa data può vantare almeno 18 anni di contributi). Per la Quota B si tiene conto della retribuzione degli ultimi 10 anni sia per il lavoratore dipendente privato che pubblico, mentre per i lavoratori autonomi degli ultimi 15 anni.
Di fatto, il sistema retributivo è conveniente perché si considerano le retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro che si presuppone siano anche le più alte.
Del valore medio, soggetto a rivalutazione in base al costo della vita, se ne prende solamente una parte - la cosiddetta aliquota di rendimento - per ogni anno di contributi maturato. Le aliquote di rendimento possono variare a seconda del settore di appartenenza, ma generalmente è pari al 2% per ogni anno di contributi, fino a un massimo dell’80%.
Per un lavoratore con 10 anni di contributi nel retributivo, ad esempio, la parte di pensione così calcolata sarà pari al 20% della media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di carriera.
Come calcolare la pensione con il sistema contributivo
Ancora più semplice calcolare la pensione con il sistema contributivo. Qui il parametro di riferimento è il cosiddetto montante contributivo, ossia l’insieme dei contributi maturati in carriera e rivalutati in base al costo della vita.
In questo caso, quindi, non si prendono le migliori retribuzioni ma si guarda a tutta la carriera del pensionando: ragion per cui sono svantaggiati coloro che hanno guadagnato poco o comunque hanno diversi periodi scoperti da contribuzione.
Ricordiamo che sullo stipendio percepito si versa solitamente il 33% in contributi, di cui 1/3 grava sul lavoratore e 2/3 sull’azienda: su una Ral di 30.000 euro, ad esempio, si versano 9.900 euro di contributi.
Il totale, i contributi rivalutati (a tal proposito è bene sottolineare che tanto per le retribuzioni nel sistema retributivo tanto per i contributi in quello contributivo non sono note le percentuali di rivalutazione per il 2024), costituiscono il montante contributivo che viene trasformato in pensione applicando un coefficiente che varia a seconda dell’età in cui si smette di lavorare.
Più tardi si va in pensione e, a parità di contributi, più sarà alto l’assegno.
A tal proposito, i cosiddetti coefficienti di trasformazione applicati nel 2024 sono gli stessi di quelli del 2023, quali:
Età | Coefficienti di trasformazione 2023-2024* |
---|---|
57 | 4,270 |
58 | 4,378 |
59 | 4,493 |
60 | 4,615 |
61 | 4,744 |
62 | 4,882 |
63 | 5,028 |
64 | 5,184 |
65 | 5,352 |
66 | 5,531 |
67 | 5,723 |
68 | 5,931 |
69 | 6,154 |
70 | 6,395 |
71 | 6,655 |
* Valore percentuale
Per chi va in pensione a 67 anni con l’opzione di vecchiaia, quindi, si applica un coefficiente esattamente del 5,723%: pensiamo ad esempio che questo abbia maturato un montante contributivo di 300.000 euro, di pensione ne avrà 17.170 euro circa, quindi circa 1.320 euro lordi: somma da cui vanno sottratte le tasse dovute ed eventualmente aggiunta la quota calcolata con il retributivo.
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