Pensioni di reversibilità e cumulo con redditi aggiuntivi: la Consulta cambia i limiti alle decurtazioni. Per chi cambia l’importo?
Una delle sentenze più importanti in materia di pensioni e di reversibilità pensionistica è stata depositata ieri 30 giugno 2022 dalla Corte Costituzionale.
Sulle pensioni di reversibilità, in caso di cumulo con redditi aggiuntivi, non sarà più possibile operare una decurtazione superiore all’importo di tali redditi. Individuati dunque nuovi limiti per le riduzioni: il taglio non può superare il totale dei guadagni derivati da altre entrate.
Nella sentenza 167/2022, la Consulta, accogliendo una questione sollevata dalla Corte dei Conti del Lazio sull’articolo 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, sul cumulo tra pensione di reversibilità e redditi aggiuntivi del beneficiario, si esprime chiaramente: è incoerente ridurre la pensione oltre la misura dei redditi conseguiti in quanto si tradurrebbe in un danno per il superstite.
Per tutti coloro i quali si trovino in presenza di altri redditi, la pensione di reversibilità potrà essere decurtata solo fino a concorrenza dei redditi stessi, cioè la riduzione non potrà superare il totale delle altre entrate.
Approfondiamo la questione sollevata dalla Corte dei Conti del Lazio, il caso in esame e su quali principi la Corte Costituzionale ha definito i limiti alla decurtazione della pensione ai superstiti, in caso di cumulo con altri redditi.
La questione sollevata dalla Corte dei Conti del Lazio
La pronuncia della Corte Costituzionale accoglie una questione sollevata dalla Corte dei Conti del Lazio secondo cui il giudice rimettente era stato chiamato a decidere sul ricorso proposto, nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), dalla titolare di un trattamento di reversibilità che, pur avendo goduto del cumulo tra detto trattamento e i propri redditi aggiuntivi maturati nelle annualità 2015 e 2016, si è vista applicare decurtazioni della pensione in misura superiore a detti redditi.
L’operato dell’Inps, precisa il giudice, risulta rispettoso delle disposizioni legislative di riferimento, che impongono di calcolare le decurtazioni secondo i parametri indicati dalla Tabella F allegata alla legge n. 335 del 1995.
Tuttavia, l’applicazione di tali disposizioni comporta che, nel caso di specie, le riduzioni superino l’importo dei redditi aggiuntivi che, per ciascuna delle annualità considerate, le hanno determinate, comportando, per l’effetto, una sorta di «espropriazione della pensione di reversibilità» tale da contraddire, in modo palese, la ratio dell’istituto di cui si tratta, rinvenibile nella riduzione del trattamento solo nella misura in cui «il relativo titolare cumuli ulteriori redditi la cui entità sia tale da controbilanciare la parallela decurtazione di quella medesima pensione».
La misura delle riduzioni applicabili alle pensioni
La legge n. 335/1995 (Riforma Dini) ha stabilito la misura delle riduzioni applicabili alle pensioni ai superstiti in caso di percezione di altri redditi da parte del titolare.
All’articolo 1, comma 41 si stabilisce che:
gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario, nei limiti di cui all’allegata tabella F
Nella suddetta tabella F viene disposto che, se la vedova o il vedovo possiedono redditi:
- non superiori a tre volte il trattamento minimo annuo, la pensione viene erogata per intero;
- fra tre e quattro volte il minimo annuo, la pensione viene erogata al 75%;
- tra quattro e cinque volte il minimo annuo, la pensione è erogata al 60%;
- oltre le cinque volte il minimo annuo, la pensione è erogata al 50%.
Queste riduzioni non si applicano quando nel nucleo familiare superstite, avente diritto alla pensione, ci sono figli minori, studenti o inabili.
Inoltre, e qui si rinviene la fattispecie in esame, una norma di salvaguardia garantisce i pensionati che posseggono redditi in misura di poco superiore al limite massimo della fascia immediatamente precedente quella in cui si colloca il reddito posseduto (cd. «clausola di garanzia»).
Lo scorso anno il Tar del Lazio era stato chiamato a valutare la posizione di una vedova che, nonostante la «clausola di garanzia», si era vista applicare una riduzione della pensione superiore ai redditi percepiti. Il Tribunale ha rimesso le carte alla Corte Costituzionale, sospettando la violazione del principio di ragionevolezza.
La sentenza della Corte Costituzionale
La Consulta, una volta interpellata, pur ritenendo pienamente legittima la norma che riduce la prestazione di reversibilità in presenza di altri redditi del superstite per il minor stato di bisogno del pensionato, valuta che la riduzione debba rispondere ad un criterio di ragionevolezza.
La Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 1, co. 41 della legge n. 335/1995 «nella parte in cui, in caso di cumulo tra il trattamento pensionistico ai superstiti e i redditi aggiuntivi del beneficiario, non prevede che la decurtazione effettiva della pensione non possa essere operata in misura superiore alla concorrenza dei redditi stessi».
Il caso della titolare della pensione di reversibilità, che per due annualità aveva beneficiato di propri redditi aggiuntivi e si era vista decurtare il trattamento pensionistico di una somma superiore all’importo di questi redditi, è stato ritenuto «irragionevole» da parte dalla Corte Costituzionale, reputando che la questione sollevata si ponga in contrasto con il principio e finalità di solidarietà presupposto dall’istituto della reversibilità, volta a valorizzare il legame familiare che univa, in vita, il titolare della pensione con chi, alla sua morte, ha beneficiato del trattamento di reversibilità.
Quel legame familiare, anziché favorire il superstite, finisce paradossalmente per nuocergli, privandolo di una somma che travalica i propri redditi personali.
Nel caso in esame:
Risulta alterato (...) il rapporto che deve intercorrere tra la diminuzione del trattamento di pensione e l’ammontare del reddito personale goduto dal titolare, il quale si trova esposto a un sacrificio economico che si pone in antitesi rispetto alla ratio solidaristica propria dell’istituto della reversibilità.
Pertanto, nel ribadire che il cumulo tra pensione e reddito deve sottostare a determinati limiti, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, la Corte ha precisato che, in presenza di altri redditi, la pensione di reversibilità può essere decurtata solo fino a concorrenza dei redditi stessi.
La cd. «clausola di garanzia» non è sufficiente a evitare che la decurtazione invada la misura dei redditi aggiuntivi del superstite.
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