Pensioni, “con la riforma al lavoro anche dopo i 65 anni”. Ecco chi l’ha detto (e perché ha ragione)

Simone Micocci

18 Maggio 2024 - 11:50

Serve una riforma delle pensioni che consenta alle persone di lavorare anche dopo i 65 anni. A dichiararlo è Alberto Brambilla (Centro Studi Itinerari Previdenziali): ecco perché ha ragione.

Pensioni, “con la riforma al lavoro anche dopo i 65 anni”. Ecco chi l’ha detto (e perché ha ragione)

Il futuro delle pensioni in Italia e nel mondo è attenzionato dai massimi esperti in materia, i quali cercano una soluzione per garantire sostenibilità al sistema previdenziale sostenibile anche nei prossimi anni alla luce delle rinnovate tendenze demografiche.

Tra questi c’è Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, che in un’intervista rilasciata alla giornalista Linda Varlese e pubblicata da Huffingtonpost.it ha spiegato le ragioni per cui bisognerebbe allungare l’età per il pensionamento prevedendo che l’attività lavorativa prosegua anche dopo i 65 anni.

È vero infatti che oggi in Italia l’età pensionabile per l’opzione di vecchiaia è pari a 67 anni (a fronte di 20 anni di contributi), ma vanno considerate anche tutte le opzioni alternative come quella prevista dalla cosiddetta pensione anticipata, a cui si aggiungono Quota 103, Opzione Donna, l’Ape Sociale. Una flessibilità che alla luce degli ultimi rilevamenti fissa l’età effettiva per il pensionamento in Italia a 64 anni e 4 mesi.

Troppo pochi secondo Brambilla, il quale si è lasciato andare a dichiarazioni che immaginiamo risulteranno impopolari ma che fondano su basi solide.

Riforma delle pensioni, al lavoro dopo i 65 anni secondo Brambilla

Riprendendo il pensiero del giornalista Martin Wolf, il quale in un recente articolo pubblicato sul Financial Times ha spiegato le ragioni per cui il concetto di “vecchiaia” andrebbe ripensato tenendo conto di una popolazione sempre più
longeva, Alberto Brambilla ha auspicato un innalzamento dell’età pensionabile in Italia.

Solo nel nostro Paese un over 65 è da panchina”, ha spiegato il presidente di Itinerari previdenziali, sottolineando l’importanza di inserire chi è più avanti con l’età nel sistema sociale e produttivo.

Brambilla concorda con Wolf nel ritenere che l’età pensionabile va aumentata per non correre il rischio che il sistema diventi insostenibile - d’altronde ci sono persone che con 30 anni di lavoro ne prendono altrettanti di pensione - ma spiega che per farlo bisognerebbe necessariamente rispettare tre diverse condizioni:

  • riformare i contratti di lavoro, prevedendo una correlazione tra l’età della persona (come pure il suo stato di salute) e le mansioni svolte. In questo modo si esclude che chi è più avanti nell’età compia mansioni considerate particolarmente onerose;
  • prevedere una formazione continua sui luoghi di lavoro, scongiurando così il rischio che una persona più avanti con l’età diventi “obsoleta” nel proprio ruolo, risultando così più un “peso” che una “risorsa” per l’azienda;
  • investire nelle tecnologie, in modo che possano essere le macchine, anziché l’uomo, a compiere alcune attività pesanti.

Condizioni essenziali che potrebbero rendere maggiormente sostenibile lavorare per più anni, anche dopo i 65, e ritardare così l’accesso alla pensione. Una proposta che sicuramente non piacerà a chi spera che il pensionamento possa arrivare il prima possibile, ma è importante essere realisti a riguardo.

Perché Brambilla ha ragione

Per quanto possa sembrare impopolare, la soluzione presentata da Brambilla sembra essere l’unica possibile per garantire sostenibilità a un sistema che rischia di non esserlo nei prossimi anni.

Come spiegato da Martin Wolf, il numero di anziani nel mondo è destinato a crescere nei prossimi anni. Basti pensare che nel 1990 erano appena 95.000 persone con più di 100 anni, mentre oggi sono 500.000 (dato in costante crescita).

Si vive di più e per questo motivo si prende la pensione per più tempo. Il problema è che allo stesso tempo diminuisce la popolazione in età da lavoro, riducendo le entrate contributive che rappresentano la principale fonte di finanziamento del sistema previdenziale. Inoltre, alla maggiore longevità si aggiunge una minore tendenza a fare figli: un binomio che in un futuro, non troppo lontano, rischia di rendere insostenibile il pagamento delle pensioni da parte dello Stato.

Le stime dell’Inps ci dicono che mentre oggi in Italia c’è circa 1 pensionato per ogni 1,4 lavoratori, nel 2050 questo rapporto sarà di 1 a 1. E se a ciò aggiungiamo che allora la speranza di vita dopo la pensione potrebbe essere aumentata ulteriormente, incrementando così la spesa pensionistica a carico della finanza pubblica, non ci sono dubbi sul fatto che non solo non ci sono le condizioni per attuare una riforma delle pensioni che riduca ulteriormente l’età pensionabile in Italia, ma che diversamente ce ne dovrebbe essere una che piuttosto consenta alle persone di restare per più anni al lavoro senza gravare troppo sul proprio fisico.

Solamente così si potrà garantire sostenibilità a un sistema sul quale sono in corso riflessioni in tutto il mondo, con diversi Paesi che proprio in questi ultimi anni hanno previsto un rialzo dell’età pensionabile per evitare di dover intervenire quando rischia di essere troppo tardi.

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