Pensioni: tra i rischi del crollo del PIL nel 2020 un taglio sugli assegni futuri, anche abbastanza drastico. Ecco chi sono i più penalizzati.
Pensioni: il crollo del PIL legato all’emergenza Covid porterà inevitabilmente a un taglio degli assegni del futuro.
Tra i rischi infatti del crollo del PIL una riduzione delle pensioni anche del 20 o del 30% non solo per i trentenni che hanno da poco iniziato a lavorare, ma anche per tutti coloro che hanno cominciato dopo il 1996 e che ora sono quarantenni o cinquantenni, anche se in minore percentuale.
Un futuro non roseo dal momento che secondo le stime Ocse il crollo del PIL italiano dovrebbe essere del 10,5% nel 2020 con un rimbalzo nel prossimo anno del 5,4%.
Le ripercussioni tuttavia si avranno anche nei prossimi anni con un trend negativo nonostante la crescita. Gli effetti devastanti del Covid infatti si protrarranno fino almeno al 2025, e a pagare saranno i giovani e le loro pensioni future.
Per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico di fronte a scenari come quello che si sta qui descrivendo, la riforma Dini ha legato la rivalutazione del montante contributivo - ovvero quel “tesoretto” che annualmente i lavoratori mettono da parte con il versamento dei contributi previdenziali e che si trasforma in pensione con l’applicazione del coefficiente di trasformazione - all’andamento del PIL, alla sua media quinquennale.
Il principio è quello per cui più l’economia negli anni successivi al versamento dei contributi va bene e più questi acquisiscono di valore; viceversa, più la crescita è contenuta e più questi resteranno stazionari.
Vediamo come secondo gli esperti il crollo del PIL si ripercuoterà sulle pensioni nel futuro neanche troppo remoto.
Pensioni e crollo del PIL: chi sarà penalizzato?
Sulle pensioni la terribile scure del crollo del PIL e chi sarà penalizzato, lo abbiamo anticipato, saranno soprattutto i giovani. Come riporta Repubblica in un recente articolo, saranno proprio in trentenni di oggi ad avere un assegno della pensione più basso anche del 20 0 30% in futuro.
Non solo perché l’economia non cresce, ma anche per le carriere intermittenti e i buchi contributivi, contratti instabili. La riforma Dini di cui abbiamo detto determina che se il PIL cresce anche la pensione cresce, e maggiore sarà l’età alla quale ci si congeda maggiore sarà l’assegno.
L’Ocse ha stimato, come abbiamo anticipato, un crollo del PIL nel 2020 del 10,5%, due mesi fa si parlava dell’8%, con un rimbalzo nel 2021 del 5,4%. Questo in media quinquennale significa che fino al 2025 a partire dal prossimo anno, la crescita avrà il segno meno.
Intervistato da Repubblica, Andrea Carbone, partner di Progetica ed esperto di previdenza, ha dichiarato che le pensioni per molto tempo non riusciranno a recuperare l’inflazione con l’aumento dei prezzi. Il modo per far sì che le pensioni non vengano tagliate in futuro è che l’economia continui a crescere e che anche il mercato del lavoro venga riformato diventando molto più stabile.
Come riporta il quotidiano nell’ultimo decennio il PIL è avanzato dello 0,2% in media e con il Recovery Fund il governo stima di salire all’1,6%. Ma cosa cambia? Se la media del PIL resta sullo zero virgola la traduzione in termini di pensioni significa che un trentenne di oggi ne prenderà un quinto sull’assegno futuro e secondo le stime di Progetica 386 euro al mese, rispetto a un andamento del PIL all’1,5%.
Per un quarantenne e un cinquantenne significa una pensione con un -12 o anche -17%. Per i sessantenni di oggi un -2%, ovvero 44 euro di taglio sulla pensione.
Crollo del PIL: quali effetti sul montante contributivo?
Un PIL al -8% o - nel peggiore degli scenari come quello dell’Ocse - al -10%, comporterà sicuramente, come abbiamo detto, un segno negativo alla crescita del PIL negli ultimi 5 anni. Le conseguenze saranno anche sulle pensioni motivo per cui i sindacati hanno richiesto al ministero del Lavoro che i tecnici calcolino gli effetti del crollo del PIL nel 2020 in modo da intervenire per calmierarlo.
Quanto successo nel 2015 infatti, quando già la variazione media quinquennale del PIL è risultata essere negativa a causa della depressione degli anni precedenti, ha portato infatti il legislatore a fissare il principio per cui il tasso di rivalutazione del montante contributivo in ogni caso non può essere inferiore ad uno, salvo però il “recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive”.
Questo principio, descritto dall’articolo 5, comma I, del DL 65/2015, ci dice che indipendentemente dalla misura del crollo dell’INPS il tasso di capitalizzazione per chi andrà in pensione a partire dal 2013 non si ridurrà, semmai sarà pari a 1.
Tuttavia, l’effetto è comunque destinato a protrarsi anche per gli anni successivi, quando bisognerà recuperare la mancata svalutazione. Un recupero che andrà a ridurre i vantaggi di un rimbalzo del PIL e che potrebbe portare il montante contributivo a non essere rivalutato per diversi anni.
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