Pensioni, il lavoro part-time potrebbe avere effetti devastanti impedendo persino il raggiungimento del requisito contributivo minimo.
Lavorare per molti anni con contratto di lavoro part-time avrà sicuramente delle ripercussioni sulla pensione. Non è l’orario di lavoro a incidere, quanto più lo stipendio percepito: trattandosi di una retribuzione “parziale” in quanto proporzionata sulla base delle ore di lavoro giornaliere, solitamente si tratta di importi molto bassi con tutte le conseguenze del caso.
Non solo, infatti, si rischia di avere una pensione con importo persino inferiore al minimo, specialmente quando calcolata con le sole regole del contributivo: ci sono circostanze in cui il basso stipendio percepito preclude la possibilità di accedere alla pensione.
Questo perché non sempre un anno di lavoro corrisponde esattamente a un anno di contributi: ciò vale solamente in quei casi in cui la retribuzione annua percepita è almeno pari alla soglia minima fissata dalla legge. In caso contrario potrebbe succedere che per un anno di lavoro vengano riconosciuti 8 o 10 mesi di contributi, con il risultato che a fine carriera potrebbe non essere raggiunto il requisito minimo per l’accesso alla pensione.
Come si calcolano i contributi per la pensione
Come anticipato, il problema di chi lavora part-time è che la retribuzione percepita potrebbe non essere sufficiente per un accredito pieno dei contributi previdenziali.
Tanto per il part-time di tipo orizzontale, verticale o misto, infatti, così come ovviamente vale anche per chi lavora full-time ma in tal caso è raro che questo requisito non venga raggiunto, affinché il periodo lavorato possa essere riconosciuto per intero ai fini del raggiungimento del diritto alla pensione è necessario aver raggiunto il minimale annuo previsto.
Nel dettaglio, la regola prevede che affinché possa esserci il riconoscimento di un contributo settimanale pieno è necessario che la retribuzione settimanale percepita sia almeno pari al 40% del trattamento minimo di pensione (mensile) in vigore.
A tal proposito, quest’anno il trattamento minimo di pensione è pari a 598,61 euro: il che significa che per il riconoscimento di una settimana contributiva è necessario percepire una retribuzione settimanale di almeno 239,44 euro lordi.
Basta farsi qualche rapido calcolo per scoprire che si tratta di circa 950 euro lordi di stipendio mensile, una cifra che non è facile raggiungere con un contratto part-time specialmente quando si parla di poche ore al giorno.
Bisogna quindi capire quanti contributi vengono riconosciuti a chi prende uno stipendio più basso di 950 euro. Basta fare una proporzione, utilizzando la seguente formula:
(Retribuzione settimanale percepita * 52)/239,44 euro
Prendiamo il caso di un lavoratore che prende 500 euro al mese di stipendio, quindi circa 125 euro a settimana. Il calcolo sarà il seguente:
(125*52)/239,44
Il risultato è che per un anno di lavoro con queste modalità vengono riconosciute solo 27 settimane contributive (anziché 52); a queste condizioni, quindi, per avere 1 anno di contributi bisogna lavorare poco meno di 2 anni.
Pensiamo ad esempio che il part-time vada avanti per 15 anni: non saranno 780 le settimane contributive versate, bensì 405. Quindi poco meno di 8 anni di contributi.
Per arrivare ai 20 anni richiesti dalla pensione di vecchiaia bisognerà lavorare per almeno altri 23 anni, a meno che nel frattempo non scatti un aumento dell’orario di lavoro e di conseguenza anche della retribuzione superando così la soglia di retribuzione minima per il riconoscimento di un anno pieno di contributi.
Occhio all’importo della pensione
Un altro problema non trascurabile è rappresentato dall’importo della pensione che come anticipato rischia di essere molto basso per chi ha lavorato spesso con orario part-time percependo uno stipendio ridotto, specialmente per coloro che avendo iniziato a lavorare dopo il 1996 hanno la pensione calcolata interamente con il contributivo.
Riprendiamo l’esempio di cui sopra e consideriamo che all’età di 67 anni questo abbia maturato 20 anni di contributi (a fronte però di 38 anni di lavoro). Annualmente ha percepito uno stipendio di 6.500 euro, accantonando così 2.145 euro di contributi (il 33% della retribuzione imponibile).
Per 38 anni, quindi, ha messo da parte poco più di 81 mila euro di contributi (anche perché va considerata la rivalutazione annua) che vengono trasformati in pensione applicando un apposito coefficiente. Semmai fosse quello attuale, pari a 5,723%, ne risulterebbe una pensione lorda di 4.635,63 euro l’anno, appena 356,58 euro al mese. E considerando che è calcolata interamente con il sistema contributivo non avrebbe diritto neppure alla relativa integrazione.
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