Cosa si cela dietro il rincaro del diesel? Tra promesse tradite e strategie fiscali, vediamo cosa sta succedendo.
Nel 2025 il prezzo del diesel ha subito un nuovo rialzo, scatenando malcontento e critiche da più fronti. Ma quali sono le vere ragioni dietro questo rincaro? E cosa possiamo aspettarci per il futuro? Analizziamo gli aspetti economici, politici e sociali di una scelta che incide profondamente sulla quotidianità degli italiani.
Il nodo delle accise: una promessa non mantenuta
Tra le principali cause del caro diesel c’è l’aumento delle accise deciso dal governo Meloni, misura necessaria per reperire i 500 milioni di euro destinati al rinnovo del contratto del trasporto pubblico locale (TPL) per il triennio 2024-2026. Tuttavia, questa scelta si scontra con le promesse elettorali della premier, che aveva garantito di abbassare le accise sui carburanti. L’intervento prevede un incremento di 1 centesimo al litro sul diesel, bilanciato da una riduzione equivalente sull’accisa della benzina, con l’obiettivo di generare 200 milioni di euro già nel 2025.
Un piano a lungo termine per riallineare benzina e diesel entro il 2030
L’aumento del costo del diesel non è un intervento isolato, ma fa parte di un progetto più ampio. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede il riallineamento progressivo delle accise su benzina e diesel entro il 2030. Al termine del percorso, l’incasso annuale stimato è di circa 600 milioni di euro, da destinare in parte al rinnovo del parco mezzi del trasporto pubblico.
Tuttavia, le critiche non mancano. Esponenti dell’opposizione, come Marco Grimaldi di AVS e Francesco Boccia del PD, hanno denunciato questa misura come un tradimento verso gli elettori, sottolineando la contraddizione con le promesse pre-elettorali. Italia Viva, per voce di Davide Faraone e Raffaella Paita, ha infatti puntato il dito contro l’incoerenza della proposta, evidenziando il rischio di rincari per gli utenti del trasporto pubblico.
Le pressioni dell’Unione Europea
L’Unione Europea ha da tempo chiesto agli Stati membri di adeguare la tassazione sui carburanti al loro impatto ambientale, piuttosto che alle quantità vendute. Questo allineamento fiscale, sostenuto anche dalla Conferenza Unificata italiana, potrebbe portare a un miliardo di euro di maggiori entrate per lo Stato, ma comporta anche pesanti ricadute per i cittadini.
Il paradosso è evidente: da un lato, il governo intende finanziare il trasporto pubblico, che dovrebbe ridurre l’uso di mezzi privati e le emissioni; dall’altro, il rialzo del diesel potrebbe rendere più costosa la gestione dei mezzi pubblici stessi, spesso ancora alimentati a gasolio. Le aziende di trasporto potrebbero trovarsi costrette a riversare i costi aggiuntivi sugli utenti, con rincari su biglietti e abbonamenti.
Tra aumenti salariali e nuovi costi
L’aumento delle accise sul diesel è finalizzato a coprire i costi del rinnovo del contratto nazionale per 110mila autoferrotranvieri. L’accordo prevede un incremento medio di 200 euro a regime, da erogare in più tranche tra il 2025 e il 2026. Inoltre, i lavoratori riceveranno un bonus una tantum di 500 euro per il periodo di vacanza contrattuale del 2024.
Parallelamente, sono previste intese aziendali per regolare l’orario di lavoro e bilanciare produttività e qualità della vita. Tuttavia, questi miglioramenti salariali e normativi rischiano di perdere il loro impatto positivo se accompagnati da un incremento generale dei costi di trasporto.
Diesel: un futuro sempre più caro
Il 2025 è solo l’inizio di un trend preoccupante che, purtroppo, sembra destinato a continuare. Con il progressivo riallineamento delle accise e la necessità di finanziare riforme strutturali, i costi per i cittadini potrebbero aumentare ulteriormente. E mentre il governo cerca di bilanciare promesse elettorali e esigenze di bilancio, il diesel diventa il simbolo di una contraddizione politica.
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