I permessi per attività di volontariato costituiscono una forma di tutela per il lavoratore subordinato. Vediamo come funzionano e su quali diritti può contare il dipendente (e il datore).
Il volontariato consiste in quell’attività svolta in modo personale, spontaneo e senza compenso, attraverso un’organizzazione o associazione di riferimento per il volontario. Non vi sono fini di lucro ma soltanto di solidarietà. Chi presta la propria opera come volontario, dunque, dà una mano concreta ad enti con obiettivi di carattere sociale, civile e culturale.
Ebbene, tra i volontari possono esservi anche i lavoratori dipendenti che, come è noto, debbono rispettare un orario di lavoro ben preciso. Infatti tra i vari permessi che i contratti collettivi possono prevedere, vi sono anche quelli che consentono a chi è sotto contratto, di assentarsi per andare a svolgere l’attività di volontariato nei giorni e nelle ore previste. Al lavoratore spetta una vera e propria tutela - e dunque non mancano diritti retributivi e contributivi ad hoc.
Non sono pochi in Italia coloro che per spirito altruistico intendono dare il loro supporto in caso di calamità naturali come terremoti o alluvioni e, pertanto, cosa sapere a riguardo? In che modo il rapporto di lavoro del dipendente volontario è protetto? Di seguito daremo alcune delucidazioni in merito, proprio per scoprire cosa spetta al lavoratore in caso di permessi per volontariato. I dettagli.
Permessi per attività di volontariato, cosa spetta al dipendente?
Permessi per volontariato nella Protezione Civile
La legge italiana indica specifici permessi retribuiti per lavoratori subordinati, che esercitano attività di volontariato nell’ambito di strutture che perseguono finalità di solidarietà sociale. In particolare la tutela economica e normativa è disposta dal d. lgs. 1/2018 - il cd. Codice della Protezione Civile - che riconosce in favore dei lavoratori aderenti alle organizzazioni di volontariato iscritte in elenchi nazionali ad hoc (consultabili sul sito web della Protezione Civile), il diritto ad assentarsi dal lavoro - con regolare permesso - per collaborare alle attività di soccorso ed assistenza in caso di eventi e situazioni di emergenza.
Gli stessi Ccnl, come accennato, possono disciplinare in merito ai permessi per volontariato. Basti pensare ad es. al Ccnl trasporti e logistica che - in suo articolo apposito - prevede la possibilità, per i lavoratori che fanno parte di associazioni di volontariato iscritte nei registri, di sfruttare - in modo compatibile con l’organizzazione del datore di lavoro - forme di flessibilità dell’orario e di turnazione agevolata.
Alla luce di ciò, il posto di lavoro non corre rischi ed anzi la retribuzione sarà pienamente riconosciuta per il tempo occorrente alle attività connesse al volontariato, ovvero ad esempio:
- il soccorso e l’assistenza in caso di situazioni di emergenza e calamità naturali;
- la partecipazione ad attività di pianificazione, di addestramento e di formazione teorico-pratica e di diffusione della cultura e della conoscenza della protezione civile.
Altri tipi di volontariato
Dette regole di tutela della retribuzione e contro il licenziamento si applicano anche in caso di permessi per volontari del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico del Club alpino italiano (CAI).
Coloro che intendono dare una mano nell’ambito devono infatti ricordare che la legge tutela il diritto di astenersi dal lavoro, con assegnazione della regolare retribuzione, per i volontari del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico del Club alpino italiano laddove partecipino ad operazioni di soccorso o alle obbligatorie esercitazioni.
Non solo. La protezione in oggetto vale anche per gli appartenenti alla Croce Rossa Italiana e per i volontari che esercitano attività di assistenza sociale e igienico / sanitaria.
I diritti del lavoratore volontario
Il dipendente che si avvale dei permessi per volontariato potrà contare sullo stesso trattamento economico e previdenziale (versamento dei contributi) che avrebbe avuto se si fosse recato al lavoro - invece di partecipare ad attività di volontariato. Al contempo il lavoratore ha altresì diritto alla regolare copertura assicurativa.
Più nel dettaglio, durante il permesso per partecipare alle attività di protezione civile, il lavoratore subordinato ha diritto:
- ad incassare l’ordinaria retribuzione che sarà interessata dalle classiche ritenute fiscali (Irpef e addizionali);
- alla copertura previdenziale, e perciò il datore di lavoro dovrà proseguire a far fronte agli obblighi della contribuzione previdenziale, assistenziale e assicurativa - premurandosi di trattenere la quota di competenza del lavoratore.
Il datore di lavoro dovrà però ottenere l’attestazione, che dimostra l’effettivo impiego nelle predette attività e nei relativi periodi al fine di retribuire i permessi per volontariato.
Durata delle assenze
Il datore di lavoro ha il dovere di permettere al lavoratore subordinato, che abbia la qualifica di volontario della Protezione Civile, di partecipare agli opere di soccorso e assistenza per un periodo:
- in generale non maggiore di 30 giorni continuativi e fino a 90 giorni nell’anno;
- ma è se dichiarato lo stato di emergenza nazionale (e per tutta la durata di quest’ultimo) con l’ok dell’Agenzia di Protezione civile - e per le situazioni di effettiva necessità - i limiti massimi previsti per i volontari nelle attività di soccorso e assistenza potranno essere innalzati fino a 60 giorni continuativi ed entro un totale di 180 giorni nell’anno.
Valgono poi dei permessi per volontariato retribuiti fino a 30 giorni annui (di cui massimo 10 consecutivi) anche per le attività di pianificazione, addestramento, formazione teorico – pratica e diffusione della cultura e della conoscenza della protezione civile. In particolare nelle ipotesi delle attività addestrative o di simulazione di emergenza, i dipendenti dovranno richiedere la fruizione dei permessi al datore di lavoro con un preavviso di almeno 15 giorni.
Cosa spetta al datore di lavoro?
Parallelamente, anche l’azienda e datore di lavoro sono tutelati, in quanto debbono comunque rinunciare alla prestazione del dipendente che ha preso il permesso per volontariato. Il datore di lavoro avrà così diritto al rimborso degli emolumenti erogati al dipendente volontario. Per conseguirlo sarà necessario fare una richiesta al dipartimento della Protezione Civile entro due anni dalla fine dell’intervento.
Più nel dettaglio, proprio nel sito web ufficiale della Protezione Civile - area FAQ - viene infatti precisato che il rimborso può essere richiesto dal datore di lavoro compilando un documento ad hoc, ovvero il Modello richiesta di rimborso. Detto documento andrà poi inviato all’ente che ha effettivamente attivato l’organizzazione, entro il citato biennio dalla conclusione dell’intervento, dell’esercitazione o dell’attività formativa a cui ha partecipato il dipendente.
Cosa indicare nella richiesta di rimborso?
Nella richiesta il datore dovrà indicare il nominativo del lavoratore assente per permesso di volontariato, la sua qualifica professionale, le giornate di assenza dal lavoro, l’evento a cui ha partecipato, la retribuzione oraria o giornaliera spettante, il codice fiscale della società e le modalità di accredito delle somme dovute. Di riferimento è comunque la sezione Procedure per i rimborsi del sito internet della Protezione Civile, a cui infatti rimandiamo. Nel d. lgs. n. 1 del 2018 - Codice della Protezione Civile - si precisa comunque che il rimborso può essere effettuato tramite versamento o essere riconosciuto come credito d’imposta.
Infine, alla luce di quanto previsto nel menzionato Codice, che parla esclusivamente di ’emolumenti versati al lavoratore’, i contributi versati dal datore di lavoro nel periodo del permesso per volontariato non sono invece rimborsabili.
leggi anche
Lavoro svolto all’estero, spetta la Naspi?
© RIPRODUZIONE RISERVATA