Caso accertato in Lombardia e le associazioni di categoria chiedono interventi immediati per salvaguardare gli allevamenti e il mercato.
Letale per cinghiali e maiali ma innocua per gli umani, la peste suina africana (Psa) si manifesta anche in Lombardia con il primo caso accertato e gravi preoccupazioni da parte degli allevatori di maiali nella regione. Il caso si è aperto con il ritrovamento di una carcassa di cinghiale infetta a Torretta Bagnaria, nel pavese, zona di produzione del noto salame Varzi Dop a pochi chilometri dal Piemonte.
La preoccupazione è altissima perché sul territorio lombardo si concentra il 50% di tutta la suinicoltura, settore chiave per l’economia nazionale, e maggiore produzione di derivati da carne d’Italia.
Il presidente di Cia Lombardia, Paolo Maccazzola rivolge così un accorato appello chiedendo il rapido intervento alle autorità competenti e in particolare del commissario straordinario, Vincenzo Caputi:
«La situazione è gravissima serve arginare questa piaga prima che si arrivi al blocco della circolazione dei prodotti di derivazione suina. Non possiamo lasciare in mano ai cacciatori e alle guardie forestali tutta la responsabilità del contenimento, sono necessari abbattimenti fatti in maniera mirata e soprattutto in tempi rapidi».
È per questo motivo che inizieranno a breve le battute di caccia per “depopolare” gli ungulati. Questi i dati raccolti fino ad ora e le lanciate allerte dalle associazioni di categoria.
Allarme non solo regionale
La Lombardia è ufficialmente la quarta regione colpita dall’epidemia del morbo dei suini manifestatasi in primo luogo nel nostro Paese nei primi giorni del 2022 in Piemonte, a Ovada, in provincia di Alessandria. Coinvolti all’epoca circa 800 animali anche nella confinante Liguria e nei territori del Lazio. Tutte aree popolatissime dai cinghiali, principale “veicolo” del virus.
«Sapevamo che sarebbe stata solo questione di tempo - spiega Alberto Cortesi, presidente di Confagricoltura Mantova - e che il Pavese, confinando con il Piemonte ed essendo estremamente vicino alla Liguria, regioni in cui la Psa è già presente, sarebbe stato il territorio più a rischio. È prioritario recuperare ciò che non è stato fatto finora, per evitare danni maggiori».
Il problema cresce con questo travalicamento regionale nell’area di Milano e provincia, avvenuto a dispetto dei lunghissimi tratti di rete anti-cinghiali installati mesi fa. Gli allevatori infatti si fanno sentire e sottolineano come, se non si interviene subito, il caso si trasformerà in una catastrofe di proporzioni nazionali.
«L’emergenza cinghiali e il fenomeno della peste suina sono stati per troppo tempo sottovalutati - ha detto il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini - è ora di dire basta per la salvaguardia del settore e per tutelare l’export delle produzioni suinicole nazionali. Chiediamo al governo di supportare la struttura commissariale con tutti gli strumenti necessari e di darci finalmente ascolto, riformando la legge 157/92 sulla caccia al cinghiale e i piani di abbattimento».
Il responsabile nazionale Cia per la fauna selvatica, Gabriele Carenini chiede l’intervento dell’esercito poiché, per interventi d’abbattimento tanto massivi, è necessario personale qualificato:
«Rinnoviamo la nostra disponibilità a collaborare, ma occorre agire adesso».
Proteggere un settore strategico dell’economia nazionale
Dagli allevamenti nazionali di suini dipendono 11 miliardi di fatturato e 70mila addetti. La filiera inoltre che conta 21 marchi Dop e 12 Igp con un valore annuo complessivo di 1,6 miliardi di export. Numeri che rendono innegabilmente la suinicoltura pilastro chiave della zootecnia italiana. La fase agricola infatti genera un valore di oltre 3 miliardi di euro con un’incidenza pari al 5,7% del valore complessivo della produzione agricola nazionale (quasi il 20% di quello realizzato dall’intera zootecnia), mentre l’industria dei salumi realizza un fatturato di oltre 8 miliardi di euro - con un’incidenza del 5,6% su quello del settore alimentare nazionale.
Come detto però la concentrazione è massima in Lombardia con 2.739 allevamenti suinicoli e 4.156.583 capi allevati (il 50% del totale Made in Italy) seguita da Piemonte (14%) ed Emilia-Romagna (13%).
L’area lombarda pertanto, come prevede il protocollo di intervento indicato dall’ordinanza del Presidente della Lombardia Attilio Fontana n. 28 del 6 giugno, è stata posta in Zona II, la cosiddetta “zona rossa”, contenuta da un anello definito Zona I per delineare spazi cuscinetto tra le aree infette e quelle non ancora coinvolte dal fenomeno virale.
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