Siamo agli sgoccioli: finita di vendere la poca argenteria ereditata che ancora è rimasta, non resterà che fare i clown nel gran circo della finanza creativa.
Da una parte le recentissime vicende giudiziarie relative al porto di Genova, la proprietà tedesca nella gestione del porto di Trieste ed il monopolio privato di quello di Gioia Tauro, e dall’altra le procedure amministrative avviate per la privatizzazione delle società aeroportuali a Catania ed a Cagliari, ripropongono un tema delicatissimo per l’Italia: quello di un Paese che vive nell’inestricabile intreccio tra i potentissimi interessi economici e strategici stranieri e la cronica debolezza delle istituzioni e dei soggetti politici, sempre alla ricerca del consenso necessario per governare su base democratica.
Di mezzo non c’è solo il denaro, che è sempre tanto, ma il futuro di intere comunità.
Quando un soggetto pubblico decide di “vendere” un porto, assicurando dunque per un lunghissimo periodo ad un singolo operatore il suo utilizzo in concessione esclusiva, ovvero la proprietà delle infrastrutture di un aeroporto affidandone ad una compagine privata la sua gestione futura, incide in modo significativo e determinante sull’economia e soprattutto sul futuro del territorio circostante.
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