Non è aumentando il canone o l’affollamento pubblicitario che si incide sulla struttura della Rai. E’ quella che è, perché a tutti fa comodo che rimanga così.
Dopo la riforma del sistema di esazione del canone radiotelevisivo, con il pagamento che dal 2017 viene addebitato sulle bollette dell’elettricità della prima casa, una soluzione adottata dal governo Renzi per contrastare la diffusa evasione che falcidiava gli introiti della Rai, riducendo contestualmente l’importo da 113 euro a 90 euro annui per tener conto degli effetti di recupero conseguenti, ora la Lega chiede di ridurne l’importo aumentando contestualmente l’affollamento pubblicitario parificandola a quella delle altre televisioni commerciali: una misura che, se approvata, inciderebbe pesantemente sugli introiti degli altri concorrenti.
Non è solo Mediaset che si oppone, ma tutto il sistema dell’editoria che soffre da tempo: il mercato pubblicitario è infatti sostanzialmente anelastico, per cui una maggiore disponibilità della Rai ad accogliere inserzioni comporterebbe una generalizzata diminuzione delle tariffe, anche di quelle che oggi pratica. In sostanza, il risultato è quello di diluire gli incassi.
Si ribalterebbe la logica del sistema attuale in cui la Rai, che beneficia di un finanziamento misto, composto dai proventi del canone e da quelli della pubblicità, deve rispettare un limite inferiore di affollamento pubblicitario.
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