In quali casi il lavoratore ha diritto alla promozione (e quindi a guadagnare più soldi)? Ecco cosa prevedono le norme vigenti.
La promozione è un momento importante per il lavoratore, una forma di riconoscimento dei propri sforzi e sacrifici, del valore apportato nella professione e ovviamente l’occasione per guadagnare più soldi.
Non bisogna però guardare alla promozione come una sorta di ringraziamento o premio per il lavoratore, che in alcuni casi ne ha diritto a tutti gli effetti.
Ci sono situazioni in cui il dipendente semplicemente propone o chiede una promozione al datore di lavoro, che può accordargli fiducia valutando l’esperienza e l’andamento della carriera, o meno. A determinate condizioni, tuttavia, questa discrezionalità del datore di lavoro viene completamente azzerata e il dipendente può pretendere il riconoscimento della promozione (con le relative differenze retributive) agendo in giudizio.
Quando spetta la promozione sul lavoro
Molto spesso si collega la promozione con l’anzianità sul lavoro, nella convinzione che a un certo punto il dipendente più esperto debba scalare i ruoli all’interno dell’azienda ed essere ricompensato per il tempo dedicatole.
Ciò non è completamente errato, nel senso che lavorare a lungo con lo stesso datore di lavoro cementa il vincolo fiduciario tra le parti e permette di acquisire un’esperienza non indifferente. Non è raro che lavorando nella stessa realtà per anni si assumano anche competenze maggiori e più diversificate rispetto a quelle iniziali, a seconda delle necessità dell’azienda. Si può poi aggiungere anche un percorso di crescita personale dovuto a corsi di formazione, titoli di studio, brevetti e quant’altro possa permettere di ambire a posizioni professionali più elevate.
Non si tratta però di meccanismi automatici ed è scorretto ritenere che il datore di lavoro sia obbligato a promuovere il dipendente assunto da molti anni. Ciò accade esclusivamente se previsto dalla contrattazione collettiva, che è bene verificare sempre, possibilmente con l’aiuto di un esperto di diritto del lavoro o sindacale.
Molti Ccnl prevedono infatti alcuni passaggi di livello automatici per i dipendenti, una circostanza frequente soprattutto per i lavoratori assunti inizialmente a livelli iniziali molto bassi. Lo stesso accade se c’è qualche disposizione analoga nel contratto individuale, per quanto sia una circostanza ben più rara.
Quando la promozione è automatica
Veniamo ora all’ipotesi di vera e propria promozione automatica, che può esser fatta valere in tribunale, con tanto di risarcimento danni. Partiamo dal presupposto che il datore di lavoro è libero di variare le mansioni del dipendente, anche di tipo inferiore, purché resti nello stesso livello e categoria legale.
Non si può infatti assegnare il lavoratore a un inquadramento inferiore, in quanto il cosiddetto demansionamento è vietato dalla legge, tranne poche particolari eccezioni. Il demansionamento non è ammesso perché lede la dignità personale e professionale, potendo avvenire soltanto se e quando previsto dai contratti collettivi (per lo più per limitare i licenziamenti) o in casi specifici (sopraggiunta inabilità a seguito di malattia/infortunio, mansioni a rischio o interdette per la lavoratrice in gravidanza, modifica degli assetti organizzativi con acquisizione di nuove professionalità/rischio licenziamento), peraltro con conservazione della retribuzione più favorevole.
Quest’ultima può essere derogata su accordo tra le parti, ma soltanto se il dipendente acquisisce un miglioramento della qualità della vita, ad esempio in relazione alla salute o alla conciliazione tra lavoro e vita privata. Al contrario, se il dipendente viene assegnato a mansioni superiori potrebbe pretendere legittimamente la promozione. Ciò è possibile soltanto se:
- le mansioni superiori sono state svolte in maniera continuativa per almeno 6 mesi (o altro termine fissato dal Ccnl). Il termine può essere dovuto al cumulo di vari incarichi, quando si evince che sono stati pianificati unitariamente;
- lo svolgimento delle mansioni superiori è effettivo, non dovendosi contare ferie e malattia, ma comprendendo riposi settimanali e compensativi;
- le mansioni sono state svolte in maniera prevalente, caratterizzandosi dall’autonomia e dalla responsabilità proprie del livello superiore;
- non si tratta di una sostituzione del dipendente che ha diritto alla conservazione del posto, nel limite del periodo fissato dal Ccnl, comunque entro i 3 mesi.
In assenza di queste circostanze il dipendente non ha per forza diritto alla promozione, a meno che il datore non voglia riconoscerla volontariamente. Su questo punto è però bene notare che il datore di lavoro deve agire, anche nell’esercizio della propria discrezionalità, con trasparenza e buona fede.
Ecco perché se il dipendente può dimostrare di non esser stato promosso a causa di discriminazione, ritorsioni personali, mobbing e altre situazioni ostili, può richiedere un risarcimento del danno per la mancata opportunità.
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