In caso di quarantena obbligatoria dopo una vacanza all’estero, il dipendente rischia il licenziamento per giusta causa. Lo ha stabilito una sentenza del tribunale di Trento.
Se, dopo le vacanza estive, un dipendente deve trascorrere 14 giorni di quarantena, assentandosi dal lavoro, rischia il licenziamento per giusta causa senza preavviso.
Come mai? Lo ha deciso una sentenza del tribunale di Trento (ordinanza 21 gennaio 2021) in quanto la prolungata assenza dal lavoro per via della quarantena viola i principi di correttezza e buona fede nei confronti dell’azienda datrice.
Il dipendente, consapevole della quarantena obbligatoria al rientro dalle ferie, può arrecare un grave pregiudizio economico al datore di lavoro e, pertanto, essere licenziato. Ecco cosa hanno deciso i giudici.
Chi fa la quarantena dopo le ferie rischia il licenziamento?
Le ferie sono un periodo di astensione dal lavoro irrinunciabile e costituzionalmente sancito. Tuttavia l’astensione dal lavoro non può durare più di quanto concordato con il datore: per questa ragione se, al ritorno dalle vacanza estive all’estero, un dipendente dovesse assentarsi per ulteriori 14 giorni (il tempo della quarantena obbligatoria) rischia di essere licenziato.
Questa la decisione del tribunale di Trento in merito al ricorso presentato da un’operaia che era stata licenziata a causa dell’isolamento domiciliare al rientro da un soggiorno in Albania. La donna aveva chiesto le ferie dal 3 al 16 agosto, con l’accordo di tornare operativa a partire dal 20 agosto; invece l’obbligo della quarantena - della quale era consapevole - le ha impedito di tornare al lavoro per altre due settimane.
Perché la quarantena può causare il licenziamento per giusta causa
Secondo l’interpretazione del tribunale di Trento, il licenziamento per giusta causa è perfettamente lecito, in quanto la donna era ben consapevole del fatto avrebbe dovuto trascorrere un periodo di isolamento domiciliare e, al contrario, avrebbe dovuto modulare le ferie valutando la questione relativa alla quarantena.
Ciò ha spinto i giudici a considerare l’astensione dal lavoro per isolamento un’assenza ingiustificata e, dunque, una possibile causa di licenziamento.
Gli inadempimenti commessi dalla dipendente sono sostanzialmente due:
- violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro;
- omessa comunicazione e giustificazione dell’assenza.
Come riportato nell’ordinanza del giudice: “Contestiamo che ella, stando a quanto da ella stessa dichiarato, si sarebbe recata in Albania nonostante i ben noti divieti, restrizioni ed i rischi relativi agli spostamenti e nonostante gli altresì ben noti obblighi di quarantena/isolamento fiduciario conseguenti, disinteressandosi quindi completamente dei problemi organizzativi creati all’azienda, visti anche l’emergenza sanitaria in essere e il periodo interessato (pieno periodo estivo)”.
“La donna, pertanto, avrebbe dovuto conoscere le procedure a cui si sarebbe dovuta sottoporre (14 giorni di isolamento) al rientro entro i confini nazionali già dal momento della partenza: ecco perché la quarantena non si verrebbe a prefigurare come assenza giustificata dal posto di lavoro ”, ha scritto il tribunale.
La scelta della donna di andare all’estero doveva essere ponderata in modo più responsabile, magari facendo un sacrificio in più che - come spiega il Tribunale - “non è comunque paragonabile alle limitazioni imposte alla libertà personale (spostamenti, diritti civili)”.
Questo non significa che i dipendenti obbligati alla quarantena dopo le vacanze incorrano sempre e comunque nel licenziamento per giusta causa. Ma nel caso di specie - come ha tenuto a sottolineare il datore di lavoro in giudizio - la lavoratrice aveva già accumulato diversi permessi e assenze per svariati motivi tra i quali congedo Covid, permessi legge 104, malattia del bambino, cosa che secondo il tribunale evidenzia una certa superficialità nell’adempimento degli obblighi lavorativi.
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