Questi 2 fattori possono spingere l’Italia (ma altri 5 possono frenare il Pil)

Violetta Silvestri

17/04/2024

L’Italia può ricevere la spinta decisiva alla crescita soprattutto da 2 fattori secondo la relazione del Centro Studi di Confindustria. Attenzione, però, a 5 rischi che possono frenare il Pil.

Questi 2 fattori possono spingere l’Italia (ma altri 5 possono frenare il Pil)

L’Italia può crescere nel prossimo biennio grazie soprattutto alla spinta da 2 fattori: questo emerge dal rapporto di primavera 2024 del Centro Studi di Confindustria.

Dopo la buona performance del 2023 per il Pil italiano, che è riuscito a superare la media dell’Eurozona con un solido +0,9% nell’intero anno, gli analisti si soffermano sulle dinamiche del periodo 2024 e 2025. In focus ci sono 2 driver potenti per la crescita del nostro Paese: il taglio dei tassi Bce e il Pnrr.

Tutte le stime di Confindustria sull’Italia, con rischi e opportunità per la svolta economica.

Italia, la spinta economica arriverà da 2 fattori

Nel biennio di previsione 2024-2025, oltre al miglioramento della domanda globale che darà nuovo impulso all’export, due fattori potranno sostenere ancora la crescita italiana su ritmi significativi: il taglio dei tassi e l’attuazione del Pnrr. Così scrivono nel rapporto primaverile gli analisti del Centro Studi di Confindustria.

Il primo driver al Pil dovrebbe quindi arrivare dalla Bce. Dopo la riunione dell’11 aprile, il costo del denaro è rimasto ancora invariato al 4,5%, ma probabilmente più si avvicina giugno più i tempi diventano maturi per una svolta con il primo taglio ai tassi previsto proprio all’inizio dell’estate.

Il cambio di passo dell’Eurotower sarebbe fondamentale per incentivare prestiti e finanziamenti, visto che si abbasserebbe il tasso pagato per chiedere liquidità sia da parte dei cittadini che delle imprese. Inoltre, i mutui ne trarrebbero maggiore beneficio con la diminuzione delle rate variabili.

Da evidenziare che, come sottolineato da Confindustria, l’inflazione in Italia sta scendendo a ritmi importanti, con l’IPC all’1,3% e quello core al 2,3%.

Queste, quindi, le previsioni:

“Lo scenario di previsione segue queste indicazioni, e ipotizza un primo taglio a giugno, a cui ne seguiranno altri tre entro fine anno, di un quarto di punto ciascuno, per arrivare a un tasso del 3,50%, un punto meno di oggi; nel 2025 seguiranno altri tre tagli, fino al 2,75%. A tali livelli, la politica monetaria continuerà a essere di poco restrittiva a fine orizzonte previsivo, molto meno rispetto ad oggi. Ciò potrà dare maggiore slancio agli investimenti e anche ai consumi.”

Il secondo stimolo alla crescita nazionale è visto nella forza di attuazione del Pnrr. “Nel 2024 e 2025, infatti, l’ammontare delle risorse da spendere per investimenti e riforme previste dal Piano è pari rispettivamente a 42 e 58 miliardi di euro, cioè oltre 2 punti di PIL all’anno”, si legge nella nota.

Attenzione a queste criticità: il Pil può frenare

Le buone prospettive per il biennio di crescita italiano sono comunque offuscate da rischi ancora concreti, in grado di frenare la ripresa del Pil del Paese.

Secondo lo studio Confindustria, infatti, il costo energetico per le industrie in Italia continua a essere troppo elevato: “il costo dell’elettricità pagato dalle imprese resta più alto in Italia rispetto ai principali paesi UE e anche rispetto agli altri grandi competitor internazionali, come USA e Giappone. Con il balzo dei prezzi del gas nel 2021-2022, il divario si è allargato ed è rimasto più ampio nel 2023”.

Questo crea un gap competitivo per le imprese italiane, ancora troppo dipendenti da un mix poco eterogeneo nella generazione di energia elettrica e principalmente legato alle centrali termoelettriche a gas naturale.

Poi, “il secondo freno è il graduale depotenziamento del Superbonus, già in scadenza a fine 2023 in termini di aliquota al 110%, e degli altri incentivi all’edilizia”, scrivono gli analisti.

E poi occorre considerare anche “le strozzature mondiali nei trasporti e il loro impatto per l’industria italiana”, che coinvolgono passaggi chiave per le merci come il Mar Rosso, lo stretto di Malacca (in Asia) e il canale di Panama (in America). Un’escalation della guerra Iran-Israele, inoltre, potrebbe spingere Teheran a chiudere lo stretto di Hormuz (importante anche per gnl e petrolio).

L’allerta per l’Italia c’è, visto che, “più della metà dei volumi di merci in entrata arriva via mare e le navi trasportano il 42% delle quantità esportate”.

Da non sottovalutare, infine, freni alla crescita quali il costante calo demografico dell’Italia e le tensioni geopolitiche che stanno ridisegnando le relazioni commerciali tra Paesi amici e nemici. Un sistema di disaccoppiamento dalla Cina o di dazi può colpire l’export nazionale.

Argomenti

# Bce
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