L’inflazione è un enigma e la Bce rischia il caos sui tassi: perché le prossime decisioni saranno cruciali e per quale motivo l’Europa può subire un vero e proprio shock economico.
Il futuro dell’inflazione è sempre più un rebus e la Bce rischia di generare un vero e proprio shock economico in Europa con la politica dei rialzi tassi: cosa succede e perché regna il caos a Francoforte?
I dati definitivi di marzo 2023 parlano chiaro. Ovvero, certificano l’incertezza sul percorso dei prezzi al consumo. Secondo l’Eurostat, infatti, l’inflazione della zona euro è diminuita il mese scorso, ma le letture sottostanti - indice core senza energia e beni alimentari - sono rimaste ostinatamente alte.
In questo contesto, l’ipotesi più accreditata nella stessa Eurotower è che i tassi di interesse devono continuare a salire, ma c’è abbastanza nervosismo sulla stabilità delle banche o su un possibile passo falso della politica monetaria così aggressiva e in tempi così repentini. La recessione è dietro l’angolo, questo è il timore che incombe sulla stessa Europa.
Cosa farà la Bce a maggio e come Lagarde comunicherà le decisioni della consueta conferenza stampa sono interrogativi scottanti. Con l’inflazione senza una univoca direzione e il rischio instabilità finanziaria, la Bce falco può causare uno shock economico in Europa.
Perché l’inflazione è un rebus per la Bce
I numeri hanno nuovamente lanciato messaggi contrastanti: l’inflazione al consumo nella zona euro è scesa al 6,9% dall’8,5%, principalmente grazie a un rapido calo dei costi dell’energia mentre i prezzi del gas naturale continuano a scendere dopo l’impennata di un anno fa.
Tuttavia, i responsabili politici della Bce si stanno ora preoccupando che gli alti costi energetici si siano infiltrati nell’economia più ampia e persistano in tutto, dai servizi ai salari, rendendo l’inflazione più difficile da domare.
In effetti, escludendo cibo e carburante non trasformati, i prezzi sono aumentati al 7,5% dal 7,4%, mentre una misura dell’inflazione ancora più ristretta che esclude anche alcol e tabacco è salita al 5,7% dal 5,6%, in linea con i dati preliminari.
Le letture di base costantemente elevate sono il motivo per cui la maggior parte dei politici della banca centrale ha già affermato che i tassi di interesse dovranno continuare a salire, nonostante i 350 punti base di aumenti record dallo scorso luglio.
Ci sono almeno due punti preoccupanti nella lettura dell’inflazione. L’inflazione dei servizi, ora al 5,1% potrebbe segnalare che i salari stanno diventando un problema chiave poiché i prezzi dei servizi sono determinati prevalentemente dal costo del lavoro.
Un altro problema è che l’inflazione alimentare continua ad accelerare e questo ha un impatto eccessivo sulla percezione da parte dei consumatori, modificando potenzialmente il comportamento di spesa e mettendo sotto pressione le richieste salariali.
Ne consegue, che un’analisi univoca sull’andamento dei prezzi e, soprattutto, la previsione di stime attendibili vacillano. Come ha suggerito su Financial Time Martin Wolf, il ritorno dell’inflazione ha sorpreso molti, compresi i banchieri centrali. Così ha fatto anche il conseguente aumento dei tassi di interesse nominali. Queste sorprese ne hanno portate altre con sé, in particolare un mini-shock per il settore bancario.
La domanda, quindi, è: E poi, che succederà? L’inflazione scenderà a livelli pre-Covid estremamente bassi o sarà un problema duraturo, come negli anni ’70 e nei primi anni ’80? Cosa accadrà anche ai tassi di interesse?
Risposte difficili da dare, ma Wolf sostiene che è più probabile che non si ritorni a un’inflazione intorno al 2% annuo. E questo per diversi motivi. Le condizioni di offerta, per esempio, sono diventate più inflazionistiche a livello mondiale. La de-globalizzazione e altri shock hanno abbassato in modo permanente l’elasticità dell’offerta di input chiave. Inoltre, i governi vogliono ridurre il loro indebitamento, che ora è molto maggiore rispetto a 15 anni fa, senza però frenare i deficit fiscali e questo genera inflazione.
Il quadro è complesso, per il mondo e, nello specifico, anche per l’Europa. La cui rivoluzione energetica non è del tutto fuori pericolo di nuove crisi. L’inverno è passato indenne da shock, ma il mercato del gas, per esempio, è in piena evoluzione e l’equilibrio precario tra domanda e offerta di Gnl, per esempio può esplodere in nuovi balzi di prezzo nei prossimi mesi. Con un occhio attento anche a siccità e disastri ambientali, pronti a far schizzare i prezzi alimentari.
L’inflazione in Europa, quindi, è un vero enigma: cosa farà la Bce?
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È probabile che l’aumento dei tassi di maggio della Bce non sia l’ultimo e i mercati ora vedono un totale di 85 punti base di aumenti prima che il tasso sui depositi al 3% raggiunga il suo picco, o il cosiddetto tasso terminale.
Ma i dubbi sono molti e i funzionari dell’Eurotower rischiano, qualunque sia la decisione presa.
Le aspettative sul costo del denaro, per esempio, si sono decisamente ridimensionate durante le turbolenze del mercato del mese scorso, con gli investitori più cauti sul fatto che i costi di prestito rimangano più alti più a lungo e prudenti nel valutare un tasso di deposito superiore al 4%.
Il crollo di due istituti di credito regionali statunitensi e l’acquisizione forzata di Credit Suisse hanno un po’ frenato la convinzione sull’aggressività senza sosta di Lagarde.
“Quello che è successo (con le turbolenze del mercato) ci ricorda che i cicli di rialzo di solito vengono interrotti bruscamente a causa di fragilità impreviste”, ha affermato lo stratega di BofA Erjon Satko.
Tuttavia, con la crisi bancaria scongiurata al momento, gli investitori sono preoccupati per l’effetto che il ciclo di rialzi dei tassi più rapido dall’adozione dell’euro avrà sull’economia del blocco valutario dei 20 Paesi.
Un sondaggio BoFA di lunedì ha mostrato che i mercati finanziari fragili e l’inflazione vischiosa sono le principali preoccupazioni tra gli investitori, che hanno portato le allocazioni obbligazionarie al massimo dal marzo 2009. E l’inflazione, come affermato oggi dai dati Eurostat, stenta a rallentare in tutte le sue componenti.
I mercati ora stanno scontando tagli dei tassi nella prima metà del 2024, segno che gli investitori temono che la Bce possa alzare i tassi troppo e troppo velocemente e sarà quindi costretta a ridurli rapidamente.
Gli analisti stimano che occorrano circa sei mesi affinché eventuali cambiamenti nella politica monetaria abbiano un impatto sull’inflazione e sulla crescita. Con l’aumento ostinato dei tassi, si rischia di vedere gli impatti in modo aggressivo e troppo incisivo, con una recessione possibile.
“Non pensiamo che i tagli dei tassi siano dietro l’angolo”, ha affermato Colin Graham, responsabile delle strategie multi-asset di Robeco. “L’unico rischio, che è al di fuori del nostro scenario di investimento centrale, è che le banche centrali abbiano già fatto troppo inasprimento, con danni economici sproporzionati che diventeranno presto evidenti”.
Tradotto: uno shock economico in Europa può ancora arrivare come estrema conseguenza di tassi elevati della Bce, stretta al credito e inflazione imprevedibile.
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