I tassi di interesse sono ai massimi dal 2008 e alcuni indicatori economici sono in calo. C’è il rischio di recessione, ma chi rischia di più tra Europa e Usa? Ecco cosa dicono gli esperti.
C’è il rischio di una recessione; l’economia globale si trova in una situazione di stallo e a dimostrarlo sono i numeri, talvolta anche ambigui.
Solo il 31 luglio l’Italia ha registrato un calo trimestrale del Pil del -0,3% nel periodo aprile-giugno, mentre nello stesso giorno Eurostat confermava lo stato di debolezza dell’economia della Germania, la quale ha registrato un calo della ricchezza prodotta pari allo -0,1% e uno stato di “blocco” a 12 mesi.
Nel suo complesso la zona euro ha registrato un aumento del Pil solo dello +0,3% mentre i dati degli Stati Uniti sembrano essere meno ambigui: a giugno il Pil statunitense ha registrato un aumento del + 2%, superando le aspettative degli esperti, nel primo trimestre del 2022, mentre nel secondo la crescita è stata addirittura del +2,4%.
Solo guardando questi primi dati sembra abbastanza evidente che tra Stati Uniti ed Europa, quella più esposto al rischio di recessione sia quest’ultima, ma per comprendere il perché è bene conoscere il quadro complessivo: ecco tutto quello che c’è da sapere a riguardo.
Rischio di recessione, tassi di interesse ai massimi dal 2008: cosa sta accadendo
Il quadro che emerge da dati talvolta anche contraddittori, in cui sembra che l’Europa sia più debole degli Stati Uniti, gli esperti guardano agli indicatori economici “predittivi”. I numeri non lasciano spazio ad altre interpretazioni: si rischia una recessione e a dimostrarlo sono i tassi di interesse che in soli 12 mesi hanno raggiunto i massimi dal 2008, negli Stati Uniti è raggiunto il 5,5% di tassi di interesse, mentre in Europa ci si è fermati al 4,25%.
Dopo la pausa decisa dalla banca centrale statunitense Fed (Federal Reserve System) a giugno, seguita da un aumento dello +0,25% il 27 luglio, non sono esclusi dagli analisti altri rialzi di un quarto di punto (0,25) in entrambi i continenti. Mentre è quasi certo che la Bank of England sia pronta a portare entro fine agosto il costo del denaro a un livello del 6% per contrastare l’inflazione.
Il paradosso, come ricorda anche il Corriere della Sera, è che anche se i tassi si fermassero, non è detto che ci sarebbe una risposta positiva del mercato. Infatti, dopo aver a lungo sperato che la Fed smettesse di alzare i tassi, alcuni investitori ora temono che un mancato aumento dei tassi segnalerebbe la convinzione della Fed che l’economia stia rallentando, potenzialmente fino a una recessione. “Il braccio di ferro tra queste idee contraddittorie evidenzia l’incertezza che i mercati stanno vivendo” conclude in un report Saira Malil, chief investment officer di Nuveen, una società di asset management con sede a Chicago e branch in tutto il mondo.
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Guardando invece a un altro importante indicatore economico “predittivo” come il Pmi (Purchasing Managers Index) - l’indice creato in base alle aspettative dei direttori degli acquisti - emerge un quadro critico specialmente per l’eurozona e l’Europa nel suo complesso.
Il Pmi composito è diminuito di -1 punto nel mese di luglio, passando da 49,9 a 48,9 punti, mentre quello manifatturiero dai 43,4 punti di giugno è sceso a 42,7 con tutti i Paesi dell’Eurozona sotto i 50 punti della soglia d’espansione, a parte la Grecia. Il crollo registratosi per l’economia europea a luglio è analogo a quello che si registrò nel 2009. Guardando ai dati nello specifico, l’Italia risale da 43,8 punti a 44,5, segnando il valore più basso del gruppo dopo Germania e Austria, che scendono a 38,8.
Ma a far compagnia all’Europa c’è anche la Cina, che va sotto la soglia d’espansione con 49,2 punti mentre rallenta la contrazione degli Stati Uniti; infatti, guardando l’indice Ihs Markit questo ha fatto un salto di quasi tre punti passando da 46,3 a 49 punti senza raggiungere, però, la soglia d’espansione, segnando un’ulteriore flessione del settore manifatturiero statunitense.
Ancora, guardando all’Ism manifatturiero, un altro indice che misura la performance del settore manifatturiero negli Stati Uniti, a luglio, è salito da 46 a 46,4 punti, un dato più basto rispetto le aspettative (46,9), registrando per il nono mese consecutivo una contrazione, “il periodo più lungo dalla Grande recessione del 2008-2009” - spiega il Corriere.
Appare quindi evidente che sì, l’economia globale è in una situazione di stallo, e benché ancora non si possa parlare di recessione, il rischio è reale. Se la recessione dovesse verificarsi, avrebbe sicuramente un impatto negativo sull’economia globale, l’Europa, che sembra essere più esposta al rischio, è una delle principali economie del mondo e una sua recessione danneggerebbe le esportazioni e le imprese nel resto del mondo.
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