Se Roma convoca l’ambasciatore russo ma si scorda di chiedere all’Austria perché ci blocca il gas, spunta la richiesta Usa di un sussidio mensile per l’Ucraina fino alla fine della guerra. Che si fa?
Stranezze di inizio ottobre. Esattamente come il clima che sta regalando un supplemento di quasi estate, persino la politica pare propensa a bizzarrie che garantiscano un effetto sorpresa in grado di dissimularne i contenuti. Domani l’ambasciatore russo è convocato alla Farnesina, su iniziativa europea, per rendere conto dei sabotaggi a Nord Stream. A confermare l’appuntamento, il ministro dell’Energia. E non quello degli Esteri.
Sicuramente la feluca russa saprà offrire alla nostra diplomazia tutte le spiegazioni necessarie. Stupisce, in compenso, come la medesima Farnesina non abbia nel frattempo sentito la necessità di chiedere conto all’Austria di questo:
— Gazprom (@GazpromEN) October 1, 2022
senza che alcun media si sia scomodato a citare il comunicato ufficiale di Gazprom, il gigante energetico russo ha reso noto come lo stop dei flussi verso l’Italia attraverso il Tarvisio non sia da imputare a una sua scelta, bensì a nuove disposizioni di Vienna che hanno portato al blocco. Insomma, Vienna ci ha chiuso il gas. E non Mosca.
Falsità? Disinformazione russa? Di questo tempi, tutto può essere. Ma sarebbe bastato poco per svelare l’arcano, sia per il ministero degli Esteri che per i grandi media che hanno titolato rispetto all’atto ostile della Russia con corpo tipografico degno dello sbarco sulla Luna: contattare le autorità austriache e chiedere la loro versione. Troppo disturbo. Soprattutto al netto di un ministro degli Esteri che, dopo essere sparito dall’organigramma del futuro Parlamento e dai social network, appare totalmente latitante. D’altronde, i tempi non richiedono sforzi diplomatici.
E se questa cartina
mostra come, casualmente, proprio ieri sia stata inaugurata la pipeline del Baltico che permette alla Polonia di ricevere gas dal Norvegia affrancandosi dalla dipendenza russa - progetto rimasto bloccato per 33 mesi di fila a causa di timori di impatto ambientale, magicamente sbloccato a inizio marzo (subito dopo l’invasione dell’Ucraina), terminato a tempo di record e inaugurato nel giorno in cui Nord Stream veniva dichiarato mediaticamente defunto -, ecco che un’altra stranezza sembra fare capolino all’orizzonte della politica italiana post-voto.
Bloomberg ha infatti reso noto quanto segue:
The US is willing to support Ukraine’s finances with $1.5 billion a month in aid throughout the war against Russia and is pushing its European allies to commit to similar amounts, sources say https://t.co/xKfV3Kr2vl
— Bloomberg (@business) October 2, 2022
l’amministrazione Biden intenderebbe dar vita a un sussidio mensile di 1,5 miliardi di dollari per l’Ucraina, destinato a durare fino a quando sarà in atto il conflitto con la Russia. Insomma, la versione bellica del reddito di cittadinanza. La quale, esattamente come quest’ultimo disincentiva la ricerca di lavori ritenuti gravosi o scomodi, appare un chiaro deterrente alla ricerca del negoziato.
Come dire, la guerra la finanziamo noi, voi combattete. Anche perché per fare la guerra servono soldi ma anche armi. Et voilà,
The U.S. and Europe are running out of weapons to send to Ukraine https://t.co/14SOETeMHW
— CNBC International (@CNBCi) September 28, 2022
casualmente nella sua conferenza stampa di venerdì a Bruxelles, il numero uno della Nato, Jens Stoltenberg, ha sottolineato come l’Alleanza sta lavorando in collaborazione con l’industria bellica per aumentare la produzione di armi e munizioni. Insomma, warfare mon amour.
E se la scorsa settimana Washington ha siglato un finanziamento da 4,5 miliardi di dollari per coprire il sussidio fino a fine anno, stando alle fonti di Bloomberg starebbe anche operando una vigorosa moral suasion sugli Alleati europei, affinché facciano lo stesso. D’altronde, l’FMI stima in 5 miliardi di dollari le necessità mensili di Kiev per garantire i servizi essenziali e mantenere attiva l’economia. E a fronte dei soli 2 miliardi ricevuti lo scorso mese, il ministro delle Finanze, Serhiy Marchenko. ha vibratamente protestato. Insomma, mano al portafoglio.
Sorge quindi in dubbio, stante le dichiarazioni pressoché fotocopia di Mario Draghi e Giorgia Meloni rispetto al supporto che l’Italia continuerà a garantire all’Ucraina: l’addio al reddito di cittadinanza servirà, magari solo in parte, a garantire i fondi per finanziare quello di belligeranza a favore dell’Ucraina, come da desiderata di Washington? Non a caso, da qualche giorno sulla stampa e in tv fioccano notizie a raffica su abusi e distorsioni da parte di percettori del reddito, quasi si volesse creare un sentiment per la sua abolizione a furor di popolo.
E se quel provvedimento è stato oggettivamente studiato male e messo in pratica peggio, quantomeno a livello di incontro fra domanda e offerta, è altrettanto chiaro che simili strumenti di sostegno esistono in tutti i Paesi occidentali. E che un suo drastico ridimensionamento in un periodo di caro-bollette e inflazione alle stelle, di fatto, si sostanzierebbe come il detonatore della bomba a orologeria su cui è seduto il Paese. Il governo intende aderire all’iniziativa statunitense, quindi? Roma stanzierà miliardi mensili per Kiev, guerra natural durante? Al netto del clima di smobilitazione e confusione che pare imperare alla Farnesina, una risposta chiara fin da ora nei confronti dei cittadini/contribuenti italiani sarebbe doverosa.
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