Secondo la Corte di Cassazione il ricatto emotivo è un reato, inclusa la minaccia di terminare la relazione. Ecco quando la condotta è penalmente rilevante e cosa si rischia.
La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su un tema che non ha nulla di nuovo, ossia il ricatto emotivo, con una sentenza che è tuttavia molto innovativa. In particolare, i giudici hanno valutato una vicenda riguardante una coppia in cui un partner ha preteso dall’altro delle somme di denaro - talvolta anche in restituzione di un prestito elargito - minacciando di terminare la relazione in caso di inadempimento, insomma facendo leva sul rapporto sentimentale.
Un vero e proprio ricatto emotivo che secondo i giudici integra a pieno il reato di estorsione, anche se la minaccia riguarda un danno morale e non fisico o - direttamente - psicologico. Approfondiamo la questione, analizzando quando il ricatto emotivo è un reato alla luce di questa nuova sentenza e cosa rischia di conseguenza chi lo commette.
La sentenza della Cassazione sull’estorsione sentimentale
La sentenza riguardante il ricatto emotivo è la n. 12633 del 27 marzo 2024, emessa dalla seconda sezione penale della Corte di Cassazione. Come anticipato, il caso riguarda la richiesta di denaro al partner, formulata con una pretesa e la minaccia di interrompere la relazione. Nello specifico, un uomo aveva chiesto con insistenza e toni aggressivi alla donna con cui intratteneva una relazione sentimentale la restituzione di una somma di denaro che le aveva prestato.
L’elemento principale riguarda la configurabilità del reato di estorsione, sebbene le minacce siano improntate alla fine della relazione e all’allontanamento dal partner. Allo stesso tempo, in questa sentenza i giudici hanno definito o confermato anche altri elementi rilevanti, non solo in questo contesto ma con possibile applicazione in altre fattispecie penali.
Prestito di soldi e dovere di assistenza
Tra le questioni rilevanti, c’è il rapporto tra i prestiti di denaro e i doveri di assistenza materiale e morale. Questi ultimi sono sanciti dal Codice civile per quanto riguarda il matrimonio e sono previsti anche per le unioni civili, ma la giurisprudenza li ha da tempo estesi anche ai conviventi e alle coppie di fatto.
Di conseguenza, il prestito di denaro in una coppia non è sempre un atto spontaneo e libero, ma può costituire un adempimento al dovere di solidarietà. Ciò non significa che l’altro sia autorizzato a non restituire il denaro, se il patto lo prevedeva, ma che non può esservi obbligato se non è nelle condizioni economiche per farlo. Il sostegno fornito per bisogni essenziali o familiari, peraltro, non prevede nemmeno restituzione.
Precisiamo tuttavia che non è questo il motivo per cui la Cassazione ha confermato l’ipotesi di estorsione, dato che i prestiti avvenuti per necessità secondarie e personali vanno comunque restituiti. Resta comunque rilevante la relazione tra questo dovere e i prestiti all’interno della coppia, che comunque concorre a valutare i fatti.
Screenshot con valore di prova
Un’altra questione interessante affrontata dalla Cassazione riguarda il valore probatorio degli screenshot di conversazioni, che la Corte ha da tempo confermato. In questo caso, inoltre, è stato precisato che non viene applicata la disciplina riguardante le intercettazioni dato che le prove sono acquisite in un secondo momento e non durante l’effettiva comunicazione tra le parti.
La violenza verbale abituale
Un aspetto controverso del caso affrontato dalla Cassazione riguarda le abitudini della coppia nei loro rapporti personali e in particolare sulle modalità di comunicazione adottate. Questo perché le parti in causa avevano mostrato una consolidata abitudine all’uso di toni reciprocamente aggressivi, accettando di fatto la violenza verbale.
Nonostante ciò, la Corte non ha rinvenuto in questa circostanza alcuna forma di attenuante, perché la violenza era finalizzata all’ottenimento di una somma di denaro e quindi mezzo per compiere il reato. Non si trattava quindi di una violenza verbale a sé stante, che eventualmente sarebbe potuta rientrare in altre casistiche e, punto cruciale, appariva evidente la predominanza e la prevaricazione (anche tentata) di uno dei due, per l’appunto l’accusato.
Quando il ricatto emotivo è un reato
Secondo la Cassazione, il ricatto emotivo configura un reato quando finalizzato all’ottenimento di somme di denaro, poiché integra l’estorsione. Quest’ultima è definita dall’articolo 629 del Codice penale come l’azione di chi “mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. Dunque l’interpretazione può estendersi senza problemi anche a diversi profitti da quello economico o danni procurati all’altro.
Nella fattispecie, rilevano la violenza verbale usata e il ricatto emotivo, ossia la minaccia di un danno moralmente rilevante. Bisogna però specificare che il fatto che l’imputato chiedesse la restituzione di una somma prestata non sarebbe stato rilevante a prescindere dai rapporti personali delle parti.
Non è possibile farsi giustizia da soli, i diritti devono essere difesi ricorrendo alle forze dell’ordine e ai tribunali, quindi pretendere con la forza i propri soldi è sempre un reato.
Cosa si rischia
Il reato di estorsione è punito con la reclusione da 5 a 10 anni e la multa da 1.000 a 4.000 euro. In presenza di aggravanti, la pena sale alla reclusione tra 7 e 20 anni e alla multa da 5.000 a 15.000 euro.
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