Rientro al lavoro dopo la maternità: quando, come ritardarlo e diritti della lavoratrice

Simone Micocci

15 Giugno 2022 - 11:13

Quando bisogna rientrare al lavoro al termine della maternità? Cosa si può fare per ritardare il rientro? E quali sono le tutele per la dipendente? Ecco una guida completa.

Rientro al lavoro dopo la maternità: quando, come ritardarlo e diritti della lavoratrice

Il rientro al lavoro al termine del periodo di maternità va programmato per tempo, così da capire quali sono i diritti della lavoratrice nonché i doveri nei confronti dell’azienda. Un rientro che potrebbe essere più complicato del previsto, in quanto la lavoratrice dovrà trovare il modo di conciliare i nuovi bisogni della sfera privata con la vita lavorativa.

A tal proposito, la legge riconosce una serie di tutele nei confronti della dipendente che vuole ritardare il rientro al lavoro al termine della maternità, concedendole più tempo da dedicare al figlio. L’importante, anche se non è espressamente previsto dalla legge, essere corretti nei confronti dell’azienda e comunicare la propria decisione con il giusto preavviso, in modo tale che questa possa programmare al meglio le proprie attività. Nessuna sanzione per chi non rispetta tale adempimento tuttavia è bene farlo al fine di mantenere un rapporto di giusta collaborazione con l’azienda.

Vediamo dunque come funziona il rientro al lavoro dopo la maternità, facendo chiarezza su diritti e doveri della dipendente.

Quando rientrare al lavoro dopo la maternità

Il congedo di maternità per la lavoratrice dipendente ha una durata di cinque mesi. La data di rientro al lavoro dipende dalla modalità con cui si è fruito del congedo.

Ad esempio, la modalità ordinaria è quella che ha inizio due mesi prima dalla data presunta del parto e va fino ai tre mesi successivi a dopo il parto. Ma ci sono altre due opzioni, in quanto la lavoratrice può scegliere di ritardare l’inizio del congedo a un mese prima del parto, oppure di goderne direttamente dopo la nascita del figlio. In tali casi, dunque, il rientro al lavoro dovrà avvenire, rispettivamente, al compimento dei quattro o cinque mesi del bambino.

È importante sottolineare che sia per la modalità di congedo ordinaria che per quella ritardata di un mese, il periodo che va dalla data presunta del parto a quella effettiva non viene considerato.

Ciò significa che i tre o quattro mesi di congedo restanti, a seconda dell’opzione scelta, si contano dalla nascita. Potrebbe succedere, dunque, che una mamma si assenti dal lavoro per un periodo superiore ai 5 mesi.

Esempi

Prendiamo il caso di Tizia, per la quale la data presunta del parto è fissata al 15 maggio 2022. Decide di ricorrere al congedo ordinario, assentandosi dal servizio in data 15 marzo 2022.

Tuttavia, il parto ritarda, con il figlio che nascerà solamente il 20 maggio 2022. Di conseguenza, il rientro al lavoro dovrà esserci il 21 agosto 2022.

Caia, invece, con data presunta del parto il 15 maggio 2022, sceglie di ritardare l’inizio del congedo assentandosi a partire dal mese precedente, con l’ultimo giorno di lavoro che è stato il 14 aprile 2022. Il parto avviene correttamente: di conseguenza il rientro al lavoro dovrà esserci in data 16 giugno 2022.

Come ritardare il rientro dal lavoro dopo la maternità

Non è detto però che al termine della maternità la lavoratrice sia pronta per rientrare. In tal caso la prima cosa da fare è confrontarsi con il datore di lavoro facendo presente il problema, provando ad arrivare a un accordo.

Ad esempio, c’è la possibilità di ritardare il ritorno al lavoro godendo delle ferie residue, che tuttavia l’azienda può anche rifiutarsi di concedere per determinate esigenze organizzative.

L’azienda non può invece opporsi alla richiesta di godimento del congedo parentale, con il quale la neo mamma può assentarsi dal lavoro per un periodo continuativo di massimo 6 mesi, accettando però una notevole riduzione dello stipendio: tale congedo, infatti, è retribuito al 30% della retribuzione normalmente percepita.

Quali tutele per chi sceglie di rientrare dopo la maternità

In alternativa si può rientrare subito al lavoro ma essere impiegata per meno ore. A disposizione della lavoratrice dipendente nel primo anno di vita del figlio, infatti, ci sono i cosiddetti permessi, o riposi, per allattamento, i quali riducono l’orario di lavoro ma mantengono inalterata la retribuzione.

Nel dettaglio, nel caso della lavoratrice impiegata full-time spettano due ore di permesso ogni giorno, di cui si può godere in entrata, in uscita o comunque nel mezzo della giornata lavorativa. A coloro che sono impiegate per meno di sei ore al giorno, invece, spetta una sola ora di permesso per allattamento.

Il vantaggio di tale strumento, che non è cumulabile con il suddetto congedo parentale, è che le ore di permesso sono retribuite al 100%, senza dunque alcuna riduzione dello stipendio.

Inoltre, nel caso di malattia del figlio, si potrà godere dei relativi permessi, i quali però non sono retribuiti.

Preavviso per il rientro dopo la maternità

La normativa vigente non fissa un obbligo di preavviso per la lavoratrice che intende fare rientro al lavoro dopo la maternità. Tant’è che la richiesta di congedo parentale può essere effettuata anche nel giorno che precede l’assenza.

Come anticipato, però, è comunque opportuno comunicare la decisione presa con un preavviso congruo, qualunque essa sia: vale, quindi, tanto nel caso in cui si decida di rientrare subito dopo la fine del congedo di maternità che qualora si voglia ricorrere al congedo parentale.

Da parte sua, infatti, l’azienda deve organizzarsi per far sì che l’assenza della lavoratrice non abbia impatti negativi sulla produzione. E per pianificare al meglio servirà che questa sia informata tempestivamente sulle intenzioni della stessa. Nessun obbligo dunque, ma semplice buon senso.

Come non rientrare al lavoro dopo la maternità

Potrebbe anche succedere che la lavoratrice non abbia alcuna intenzione di rientrare al lavoro dopo la maternità. In tal caso l’unica soluzione è rassegnare le dimissioni che, durante il primo anno di vita del figlio, godono di tutele particolari.

Nel dettaglio, quando le dimissioni vengono date prima che il figlio, o la figlia, compia un anno, non è necessario darne il preavviso al datore di lavoro. Inoltre, anche se si tratta di dimissioni volontarie, la neo mamma mantiene il diritto all’indennità di disoccupazione Naspi.

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