La recente sentenza della Corte di Cassazione interviene sull’onere probatorio del lavoratore per la richiesta di risarcimento in seguito a un infortunio, ora provare il danno è più facile.
In caso di infortunio sul lavoro, il dipendente ha diritto all’indennità di infortunio a carico dell’Inail. Quest’ultimo corrisponde anche un risarcimento per il danno biologico subito dal lavoratore, a seconda della percentuale di menomazione dell’integrità psicofisica, purché superiore al 6%. Si tratta di misure spettanti a tutti i lavoratori dipendenti in caso di infortunio, ma se l’incidente è avvenuto a causa della responsabilità del datore di lavoro, chiamato dalla legge a garantire la sicurezza e la salute dei dipendenti, si può richiedere anche un ulteriore risarcimento.
Questo tipo di risarcimento riguarda il danno differenziale, ossia il danno complessivo riportato dal lavoratore a cui viene sottratto quanto già coperto dall’Inail, ed è ovviamente a carico dell’azienda. Può ottenere questo tipo di risarcimento soltanto chi ha subito l’infortunio a causa di un illecito del datore di lavoro, il quale non ha adottato tutte le precauzioni possibili per tutelare i dipendenti. Non c’è diritto al risarcimento se viene dimostrato il caso fortuito, ossia quell’evento del tutto eccezionale e imprevedibile che supera le ordinarie accortezze, oppure se il dipendente è responsabile di aver violato le norme di sicurezza in maniera imprevedibile.
Ovviamente, per avere accesso a questa tutela è indispensabile poter dimostrare in sede di giudizio l’ulteriore danno (non necessariamente biologico) subito rispetto a quello ristorato dall’ente previdenziale e il suo nesso causale con la colpa del datore di lavoro. Ed è proprio su questo aspetto che la recente sentenza della Corte di Cassazione può facilitare i lavoratori, alleggerendo in parte l’onere probatorio a loro carico. Vediamo nel dettaglio cos’hanno deciso i giudici e quindi cosa cambia.
Provare il danno per il risarcimento da infortunio sul lavoro
Con l’ordinanza n. 9120 del 5 aprile 2024 la Corte di Cassazione ha stabilito che per ottenere il risarcimento del danno provocato dall’infortunio sul lavoro è sufficiente provare l’inadempimento e il nesso causale con il danno riportato, mentre non è indispensabile provare la colpa del datore di lavoro.
L’ordinanza citata riguarda il ricorso di un lavoratore che ha subito un infortunio durante il rifornimento del camion in dotazione, a cui la Corte di appello (cui si è rivolta la società dopo che il tribunale ordinario aveva favorito il dipendente) ha negato il risarcimento del danno differenziale perché non erano state definite le norme di sicurezza violate dal datore di lavoro.
Gli Ermellini sono d’altro avviso, in quanto l’obbligo di sicurezza è imposto al datore di lavoro dall’articolo 2087 del Codice civile, che intima chiaramente il dovere di adottare tutte le misure possibili per evitare al lavoratore danni alla salute, all’integrità fisica o al benessere morale. Questo articolo si riferisce in modo ampio a tutte le precauzioni utili “secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica”. Dovere che si estende anche a prevenire le conseguenze dell’eventuale imprudenza del dipendente, salvo comportamenti del tutto imprevedibili.
Essendo quest’obbligo definito in questi termini, la sua violazione dà diritto al risarcimento purché si provi il fatto accaduto, il danno e il nesso causale tra questi due elementi. La colpa del datore di lavoro si presume fino a prova contraria, come stabilito dall’articolo 1218 del Codice civile.
Quando si avanza una richiesta di risarcimento per il danno differenziale riportato in seguito a un infortunio sarà quindi necessario indicare da cosa è stato causato il danno, ma non è indispensabile documentare anche quali sono le norme specifiche che sono state violate dall’azienda, né nel dettaglio quali sono stati i comportamenti del datore di lavoro che hanno portato alla violazione (mancata manutenzione, omesse riparazioni e così via).
Nel caso citato, per esempio, il lavoratore ha attestato la presenza di un dislivello tra il piano di calpestio e il distributore per il rifornimento, nonché l’assenza di barriere protettive e di sistemi di avvolgimento automatico della pompa di carburante. Fattori che hanno comportato la caduta e le conseguenti lesioni, come peraltro riportato anche dalle prove testimoniali, e che danno adito al risarcimento.
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