Pd, Italia Viva e Movimento 5 Stelle volevano che la fiducia a Draghi si votasse prima alla Camera, invece si partirà dal Senato. La strategia per la sopravvivenza del governo rischia di naufragare.
Mercoledì 20 luglio si decideranno le sorti del governo e del presidente del Consiglio. Mario Draghi sarà chiamato a tenere comunicazioni fiduciarie in Parlamento: questo vuol dire che ci sarà l’intervento del presidente del Consiglio, la discussione e poi il voto nominale sulle risoluzioni di fiducia, secondo quanto comunicato alla conferenza dei capigruppo dal presidente della Camera, Roberto Fico.
Nella giornata di mercoledì saranno chiamate a votare la fiducia sia la Camera che il Senato. Ma devono ancora essere decisi gli orari mentre è già stata presa l’altra decisione, più importante di quanto non possa apparire: in quale ramo del Parlamento Draghi riferirà prima. I presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, hanno scelto Palazzo Madama per dare il via alle comunicazioni.
Decidere in quale Camera si voterà prima non è questione di poco conto: per questo era nata l’idea di iniziare alla Camera, una strategia che avrebbe potuto aiutare la sopravvivenza del governo. Ma che sembra ormai sfumata. Draghi dovrà quindi pronunciare il suo discorso prima in uno dei due rami del Parlamento per poi depositarlo nell’altro: nella seconda Camera si ripartirà direttamente con la discussione e con il successivo voto di fiducia. Ma perché Pd, Italia Viva e Movimento 5 Stelle (parzialmente) hanno chiesto - invano - di votare prima alla Camera?
Le comunicazioni fiduciarie di Draghi
Fico ha spiegato in capigruppo che in caso di rinvio alle Camere da parte del presidente della Repubblica è previsto che si tengano comunicazioni fiduciarie del presidente del Consiglio. Il che vuol dire che ci saranno le comunicazioni di Draghi, poi la discussione generale e la presentazione delle risoluzioni e infine il voto con chiama uninominale.
Dove si vota prima e perché è importante
Si voterà prima al Senato, quindi. Si segue il meccanismo definito della culla, per cui si esprime prima l’ala del Parlamento in cui si è aperta la crisi, nonché quella in cui ha giurato per la prima volta da presidente del Consiglio Draghi. Pd e Italia Viva avevano chiesto di votare prima alla Camera, dove la maggioranza gode di numeri più ampi.
A questa richiesta si sono accodati anche i 5 Stelle, con il capogruppo Davide Crippa che ha spiegato di essersi schierato per il voto alla Camera perché di fatto la crisi si sarebbe aperta lì con il primo non voto del Movimento al dl Aiuti. Votare prima a Montecitorio avrebbe voluto dire raccogliere più consensi per Draghi, considerando che i 5 Stelle governisti sono di più e avrebbero potuto mettere in campo una vera e propria scissione a Montecitorio. Al Senato sono in netta maggioranza i favorevoli allo strappo con il governo, seguendo la linea del leader Giuseppe Conte.
M5s, tutti (anche Conte) contro Crippa
Anche sulla posizione del Movimento 5 Stelle durante la capigruppo di Montecitorio si è scatenata la ressa interna. Crippa è stato messo sotto accusa dopo aver appoggiato la richiesta di Pd e Iv. Durante l’assemblea congiunta dei gruppi parlamentari pentastellati è finito sulla graticola e anche lo stesso Conte ha detto di non essere stato informato di questa decisione. Lo scontro tra governisti e contiani non si arresta.
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