Italia: come lo smart working rivoluzionerà l’economia come la conosciamo oggi

Patrizio Messina

28 Novembre 2020 - 07:50

In che modo lo smart working e la digital economy possono rivoluzionare l’Italia e non solo a livello macroeconomico.

Italia: come lo smart working rivoluzionerà l’economia come la conosciamo oggi

E ormai noto che lo smart working, mediante il suo approccio lavorativo telematico, va ad impattare su diversi attori economici. In particolar modo esso modificherà la vita dei lavoratori, delle aziende, del sistema economico locale e, non ultimo, del mercato immobiliare.

Ma qual è il suo impatto sul futuro a livello macroeconomico? Cerchiamo di prevedere, per quanto possibile, come i cambiamenti che inevitabilmente lo smart working porta con sé possano modificare le economie nazionali e quali problemi o crisi potrebbero manifestarsi.

Andiamo anche ad anticipare quelle che potrebbero essere le plausibili contromosse a livello politico e di gestione sovranazionali, fino a giungere a quella che alla fine, con buona probabilità, sarà la soluzione finale che permetterà di ritornare all’equilibrio economico.

Lo sconvolgimento economico generato dallo smart working

Lo sconvolgimento che il sistema produttivo subirà con l’introduzione di questo nuovo paradigma produttivo, detto anche della digital economy che ne sarà il naturale sviluppo, sconvolgerà anche gli equilibri economici nazionali ed internazionali.

Non a caso gli esperti dicono che si sta entrando nel pieno della quarta rivoluzione industriale, che avrà lo stesso impatto che ebbe la nascita dell’industria nel XVIII secolo o dell’introduzione della corrente elettrica.

Personalmente parlo di uno sconvolgimento economico a livello nazionale e internazionale, altri invece pensano ci saranno solo degli “aggiustamenti” e delle ottimizzazioni.
Non so chi avrà ragione ma in questo ambito dovremmo obbligatoriamente fare dei ragionamenti logici e cercare di capire come le varie situazioni possono andare a colpire gli equilibri macroeconomici e quali soluzioni verranno plausibilmente adottate per difendersi o attenuale tali impatti.

Perché, se da un lato un lavoratore può intervenire modificando un po’ il suo stile di vita e cambiando semplicemente l’appartamento dove vive ricavandone un vano aggiuntivo da usare per lavorare, oppure un’azienda può semplicemente spostarsi ed adottare una nuova tecnologia, mano a mano che si va a considerare un soggetto economico più grande ed articolato le variazioni si vanno ad amplificare.

Ho già fatto una previsione di variazione economica a livello di piccolo comune, dove ho previsto delle improvvise impennate di abitanti o di sedi aziendali, così come nelle grandi città potrebbero, all’opposto, verificarsi delle “fughe” della cittadinanza verso i piccoli centri o in zone più turistiche e il rischio che si inneschi una situazione sociale stile la città di Detroit.

Ma cosa accadrà a livello nazionale o internazionale? Una nazione è un sistema economico molto più complesso di una cittadina e quindi gli effetti da considerare sono molteplici ed impossibili da prevedere tutti.

Cercherò, quindi, di fare una serie di ragionamenti logici onde modellare, a grandi linee, quello che potrebbero essere gli effetti e le reazioni a livello macroeconomico che la pressione ambientale imprimerà nei diversi settori.

In particolar modo suddividerò il processo in probabili fasi successive che le nazioni dovranno affrontare. Ovviamente mi concentrerò soprattutto sulla situazione italiana ma anche le altre nazioni affronteranno i medesimi problemi anche se ci saranno differenze dovute alle loro peculiarità produttive ed economiche.

1° fase: la crisi finanziaria

I primi effetti dello smart working nazionale si manifesteranno a livello di gettito fiscale.
Infatti, lo smart working e la conseguente introduzione della digital economy faranno sviluppare la grande impresa multinazionale e, dall’altro lato, spalancheranno le porte alla micro-impresa a filiera corta che lavora a livello locale.
Questo non potrà che portare ad una crisi della PMI, fulcro della produzione nazionale e anche europea, che rischia di ritrovarsi tra l’incudine ed il martello.

Abbiamo già specificato il perché la PMI diventerà l’agnello sacrificale della digital economy.

Verosimilmente, la PMI tenderà a scomparire nel tempo a poco a poco, di certo non improvvisamente, ma con esse si volatizzeranno gli introiti fiscali che pagano all’erario, sia a livello aziendale, sia tramite le imposte che versano i loro dipendenti che ovviamente perderanno il lavoro.

A prima vista si potrebbe pensare che alla fine non cambi molto: invece di produrre la PMI produrranno le grandi imprese e le micro-imprese, quindi il gettito fiscale lo generano loro e i dipendenti si ricollocheranno in questa tipologia di imprese.

In un mondo ideale sarebbe così, tuttavia, nella realtà dei fatti le grande imprese si sposteranno tutte dove la manodopera costa meno, probabilmente in estremo oriente, e sarà lì che pagheranno le tasse ed eventualmente assumeranno il personale.
Questo significa che la parte di produzione che si sposta dalla PMI alla grande multinazionale genererà quasi per intero l’ammanco di gettito fiscale derivante da quella produzione e i posti di lavoro verranno anch’essi quasi del tutto persi.

Le uniche imposte che al più lo Stato riuscirà ad incassare sono quelle come l’IVA che grava sugli acquisti, ma quelli derivanti dalle imposte sui redditi d’impresa o dei redditi dei loro dipendenti svanirà nel nulla. Questo crollo del gettito fiscale che si verrà a creare non sarà in grado di compensarla nessun tipo di web-tax.

Non rimarrà altra strada che far cassa con le nascenti imprese fortemente geo-localizzate che la digital economy dovrebbe favorire. Tuttavia, se andiamo ad analizzare l’impalcatura legislativa attuale in italiana, e anche europea, si può notare come in realtà tutti i governi sono intenti a colpire proprio questo tipo di attività rendendole il più possibili sfavorevoli da intraprendere.

L’idea di base che sta dietro questo comportamento finanziariamente suicida è che le attività molto piccole tendenzialmente evadono più facilmente le tasse, in quanto sono per lo più a gestione familiare, e quindi non assumono dipendenti o ne assumono molto pochi (visto che vi lavorano dentro per lo più i membri della famiglia). Inoltre gli viene più semplice vendere molti prodotti e servizi “sotto banco” al nero, cosa che invece è quasi impossibile da fare nelle grandi aziende.

Il redditometro, i minimi contributivi, le fatture elettroniche, così come la futura eliminazione del contante e via discorrendo, hanno tutte l’obiettivo di scoraggiare l’avvio e la prosecuzione di attività d’impresa di piccole dimensioni al fine di favorire i grandi player.

I grandi player, infatti, si possono adattare molto meglio a queste continue complicazioni normative grazie al fatto che possono affrontarne più agevolmente i costi di gestione che aumentano all’aumentare della complessità, ed inoltre, hanno a disposizione molti più dipendenti per far fronte alle pratiche burocratiche che la complessità crescente genera.

Tutto questo comporterà il fatto, che via via che le PMI verranno spazzate via, la produzione si sposterà automaticamente in mano alle grandi multinazionali.
Le multinazionali, però, per loro natura hanno una produzione massificata e standardizzata, in quanto è l’unico modo che esse hanno di abbattere i costi di produzione e innescare i vantaggi della produzione in scala su scala globale.

Questo, però, causerà un aumento enorme della disoccupazione proveniente da tutti i dipendenti delle vecchie PMI che rimarranno a spasso. Inoltre, si verrà a creare una domanda di prodotti “non standardizzati” che rimarrà insoddisfatta per mancanza di un’offerta adeguata che solo un’impresa di piccole dimensioni può soddisfare.

La naturale conseguenza sarà quella che i vecchi dipendenti delle PMI cercheranno di soddisfare questa domanda che si verrà a creare mettendosi in proprio. Questo sarebbe teoricamente favorito da una soglia di accesso più bassa in termini economici, che la micro-impresa a filiera corta può teoricamente garantire mediante l’utilizzo delle tecnologie informatiche come lo smart working, l’economia digitale e, non dimentichiamolo, l’enorme sviluppo della tecnologia delle stampanti 3d.

Tuttavia, la vera partita si giocherà nel momento in cui questa grande massa di persone cercherà di avviare queste micro-imprese ma andranno tutte a sbattere contro le leggi nazionali, rese volutamente complicate per scoraggiare tali soluzioni.

La mossa più logica da parte del governo nazionale sarebbe quella di agevolare il più velocemente possibile questa migrazione produttiva al fine di far aumentare velocemente il gettito fiscale e riassorbire la disoccupazione.
Gli enti sovranazionali che gestiscono l’economica, però, la pensano diversamente e stanno puntando il tutto per tutto verso la globalizzazione forzata mediante soluzioni come la moneta digitale, l’abbattimento di confini e via discorrendo.

Questo significa che per molto tempo cercheranno di impedire in tutti modi possibili questo naturale processo di riequilibrio economico perché hanno paura che finirebbe per mettere a rischio il grande “culto del cargo” globalista.

Quindi si andrà incontro ad un periodo di tempo, più o meno lungo, in cui le nazioni saranno soggette ad un ammanco di cassa enorme dovuto al crollo del gettito fiscale, e a cui si andrà a sommare il conseguente aumento delle spese correnti al fine di mantenere lo stato sociale e sorreggere la popolazione indigente tramite sovvenzioni, ristori, incentivi, eccetera.

In questa prima fase vedremo quasi sicuramente uscire dal cilindro la solita soluzione austera che prevederà, sicuramente, l’applicazione di tasse a manetta, di patrimoniali e prelievi forzosi più o meno camuffati, aumento delle accise, applicazioni di sovrattasse (magari usando la foglia di fico del green new deal), e via discorrendo.

Siccome una simile situazione, a cui si affiancherà una disoccupazione mostruosa, porterà ad un forte dissenso nella popolazione, i governi si difenderanno cercando di avviare la solita caccia alle streghe che ha l’obiettivo di guadagnare tempo mettendo le persone l’una contro l’altra, e garantire così un calo della pressione sui membri del governo.

Tiro ad indovinare, ma probabilmente utilizzeranno il solito ever green dell’evasione fiscale che ha anche il grande pregio di generare un naturale esercito di zelanti delatori.

Sempre in questa prima fase è facile prevedere che i governi avvieranno la svendita di tutti gli asset pubblici, privatizzeranno ogni servizio esistente ed effettueranno pesanti tagli lineari in tutti i settori.

2° fase: la nascita delle micro-Imprese

Ad un certo punto la prima fase volgerà a termine. Direi che grosso modo potrebbe durare circa 3 o 4 anni, ma alla fine sarà palese a tutti che non si sta risolvendo il problema e che la crisi depressiva in cui si è finiti sta portando ad intaccare pesantemente anche chi si sentiva intoccabile, come i dipendenti pubblici.

La pressione popolare per un cambiamento crescerà fino al punto in cui dovranno per forza adoperarsi per un cambio della gestione governativa. Il nuovo governo cercherà di risolvere il tutto mediante una detassazione e una deregolamentare delle micro-imprese.

Questa mossa farà riassorbire, nel tempo, buona parte della disoccupazione e porterà con sé un iniziale beneficio in termini di gettito fiscale grazie al PIL che inizierà a galoppare.

Tuttavia, mano a mano che le micro-imprese si affermeranno, inizieranno dei conflitti economici e legislativi per via del contesto forzosamente globalista che nel frattempo sarà stato imposto.

Infatti, le micro-aziende, sebbene la tecnologia moderna permette di lavorare tranquillamente su scala mondiale grazie al web e alla facilità di spedizione delle merci in quasi tutto il pianeta, si troverà ad affrontare degli ostacoli insormontabili. Il primo di essi consiste nel fatto che aziende così piccole non sono in grado di produrre volumi a sufficienza per vendere su così vasta scala. Secondariamente, le imprese a filiera corta non sono adatte a gestire complessità tali da gestire commerci internazionali.

Alla fine quello che accadrà è che queste aziende inizieranno a lavorare per un mercato locale e si serviranno, a loro volta, da fornitori che lavoreranno per il mercato locale interconnettendosi a vicenda. Si verranno, quindi, a creare dei veri e propri distretti su base territoriale (provinciale e al massimo regionale o poco più).

Questo, però, avvierà una frammentazione economica dell’economia che piano piano sfocerà in differenti esigenze a cui teoricamente si dovrà far fronte con politiche economiche differenti.

Gli enti sovranazionali in questo momento stanno spingendo per lanciare le monete digitali ma centralizzate. Sicuramente avrete già saputo dell’euro digitale, e degli equivalenti progetti americani e cinesi.

Il motivo per il quale sta nascendo l’esigenza di una moneta digitale è soprattutto quella di avvantaggiare il globalismo e gli spostamenti di capitale in giro per il mondo in “tempo zero” (istantanei e possibilmente senza costo). Il tutto è accelerato per il fatto che c’è il rischio concreto che se non lo fanno le banche centrali ufficiali il posto lo prenderà una qualche criptovaluta stile il bitcoin che non è “pilotata” da nessun ente istituzionale.

Questo tipo di monete, però, non hanno un confine delineato come l’attuale valuta, e quindi una di esse finirà per accaparrarsi tutto il mercato e le altre finiranno per soccombere o essere poco utilizzate.
In pratica, l’introduzione delle monete digitali porterà ad una situazione in cui alla fine una sola si imporrà su tutte le altre, sicché chi si ritrova per le mani quella considerata meno pregiata finirà per convertirle istantaneamente in quella che reputerà “migliore” e non ci sarà modo di impedirlo.

Questo farà sì che la moneta che verrà giudicata comunemente come migliore finirà per essere quella più ambita e tutti la vorranno fuggendo a gambe levate da quella che invece utilizza la propria nazione. Poi, quando gli serve la moneta nazionale per pagare le tasse o quant’altro, la riconverte nella quantità necessaria e paga quanto deve pagare, ma per il resto si terrà la moneta che reputa più pregiata.

Una situazione simile non ha senso per nessuna nazione al mondo e ciò non può che sfociare in una situazione in cui, alla fine, si accorderanno tutti per emettere un’unica moneta digitale mondiale. Saranno poche le nazioni che non vi aderiranno.

Le micro-imprese locali si ritroveranno, quindi, a dover lavorare utilizzando una moneta che nel migliore dei casi sarà di tipo continentale (come l’euro), ma molto più probabilmente con una moneta addirittura mondiale.

Detta così potrebbe sembrare una mera curiosità. Anzi si potrebbe pensare che è bello e comodo avere tutti la stessa moneta anche se poi la produzione tenderà ad essere geo-localizzata. Purtroppo non è così.

I problemi che si sono manifestati con l’introduzione dell’euro si ripresenteranno in modo amplificato generando squilibri economici spaventosi.

Il problema dell’euro consiste nel fatto che le nazioni europee hanno economie differenti, orografie differenti, climi differenti, culture differenti, lingue differenti e ubicazioni geografiche differenti.

Questo significa che i costi di produzione non possono che essere differenti, i costi logistici per importare le materie prime ed esportare la produzione sono differenti, i costi della produzione agricola sono differenti, e così via.

Non appena le nazioni sono entrate in un sistema a cambi fissi queste differenze si sono manifestate sul costo finale di beni e servizi sicché, se un’azienda siciliana vuole guadagnare tanto quando ad una della Renania, a parità di prodotto e qualità la merce prodotta dai siciliani deve costare di più in modo da compensare i maggiori costi logistici che un’economia periferica è costretta ad affrontare rispetto ad una che si ritrova in posizione baricentrica rispetto ai commerci.

Ma se la merce costa di più vende di meno, e quindi l’impresa non produce utili. E se non produce utili fallisce.
Allora è costretta ad abbassare il prezzo in modo da essere competitiva rispetto alla concorrenza. Solo che se abbassa i prezzi calano i margini e quindi finisce per vendere ma non fare ugualmente utili, e ciò porta comunque al fallimento.

In definitiva, chi si ritrova in una situazione svantaggiosa finisce col chiudere ed il mercato se lo prende tutto l’azienda che per pura casualità si trova in un punto in cui beneficia dei vantaggi logistici, infrastrutturali, e via discorrendo.

Ciò che ne risulta è l’attuale economia europea, che se si fa mente locale ha portato in crisi giusto le nazioni che guarda caso sono più periferiche rispetto al baricentro dei commerci continentali: Grecia, Cipro, Il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda e l’Italia.
Anzi, se si va ad esaminare in modo più approfondito la sequenza delle nazioni andate in crisi si potrà facilmente riscontrare che questa rispecchia perfettamente l’ordine di distanza rispetto al baricentro commerciale europeo (quelle più distanti sono andate in crisi prima e a poco a poco la crisi ha colpito quelle via via più vicine).

Se si adotterà un’economia fortemente geo-localizzata il differente impatto dei costi di produzione in base alle distanze e all’orografia e al clima dei vari territori sarà ancora più marcato rendendo la commercializzazione ancora più difficile. Alla fine, chi ha la fortuna di produrre a costi più bassi finirà per imporre le sue merci anche nei territori altrui portando alla depressione economica vaste zone del continente.

A questo si aggiungerà il problema dell’emissione monetaria e i costi per finanziarsi, che rischia di portare abbondanza di liquidità in alcune regioni e crisi di liquidità in altre. In pratica il problema del “target 2” si eleverà all’ennesima potenza.

L’effetto sarà quello di innescare bolle inflazionistiche nelle regioni con liquidità in eccesso e deflazioni marcate in quelle in cui il denaro non circola, rendendo impossibile finanziarsi ed investire in aggiornamenti dei fattori produttivi, che a loro volta amplificheranno le differenze innescando un circolo vizioso che porta all’implosione economia.

3° fase: le secessioni economiche

Le crisi monetarie che si manifesteranno nella seconda fase arriveranno ad una criticità tale per cui si innescheranno diversi fenomeni.
Il primo è quello della nuova migrazione dei giovani, che dai territori depressi cercheranno fortuna in quelli in cui vi è abbondanza di liquidità e quindi maggiori possibilità lavorative. Questo peggiorerà ancora di più la situazione, in quanto produrrà un aumento dei prezzi di beni e servizi nelle regioni in cui arriveranno i nuovi lavoratori (aumenta la domanda e quindi i prezzi saliranno alle stelle).

Di contro, le regioni che perderanno forza lavoro si ritroveranno in una situazione ancora più depressa a livello economico. Inoltre, il PIL territoriale che andrà in picchiata porterà con sé un aumento della tassazione locale e dei costi per finanziarsi nei mercati per via del tasso di interesse che crescerà. Questo peggiorerà la situazione in quanto farà chiudere le poche imprese aperte che cercheranno di spostarsi nelle regioni dove è più facile reperire i fondi.

La prima soluzione che verrà in mente a tutti sarà sicuramente quella di applicare dei dazi sulle merci che entrano all’interno del territorio che vada ad annullarne il vantaggio in termini di prezzo rispetto alla produzione locale. Tuttavia, una soluzione come questa è poco applicabile, in quanto gli altri reagirebbero con dei dazi a specchio annullandone l’eventuale vantaggio.

Inoltre, anche se ci si mettesse d’accordo per una serie di dazi proporzionali alle difficoltà dei vari territori al fine di equilibrare le produzioni, rimarrebbe lo stesso il problema delle crisi di liquidità che colpirebbero alcune zone e delle bolle inflattive delle altre regioni.

Alla fine si approderà verso la soluzione più logica ma che le tecnologie permetteranno di applicare molto facilmente: ogni territorio cercherà di emettere una propria moneta per agevolare l’economia territoriale e supplire alla crisi di liquidità. Sicuramente cercheranno di farlo tutte quei territori in cui si manifesta in modo più marcato al crisi di liquidità.

Inizialmente cercheranno di adottare una moneta scritturale stile il Sardex, che in Sardegna sta funzionando abbastanza bene e sembra che abbia effettivamente portato benefici economici al territorio.

Tuttavia, una soluzione di questo tipo agevola gli scambi locali ma non risolve il problema della mancanza di liquidità, e soprattutto non risolve il problema della differenza dei costi produttivi legati alle differenze territoriali.

Occorre, quindi, una moneta locale che possa essere emessa in aggiunta a quella che ha valore legale al fine di appianare le crisi di liquidità. Tuttavia, per i motivi visti prima, la gente cercherà di liberarsi velocemente della moneta parallela e cercherebbe immediatamente di convertirla in quella che reputano più pregiata. Anche perché una moneta scritturale può essere utilizzata solo come agevolatore commerciale ma non può essere accumulata, investita o spesa da altre parti che non dentro il territorio.

Questo spingerà a richiedere una serie di leggi di tipo federale che diano a tutte le regioni la possibilità di dare corso legale alle monete parallele al fine di poterle utilizzare per il pagamento di stipendi e per farsi pagare le imposte.
Tuttavia, nessuno vorrà essere pagato in moneta parallela, se pur a corso legale, in quanto per utilizzarla allo scopo di comprare qualcosa che proviene dall’esterno del territorio occorrerà convertirla subendo un sicuro cambio sfavorevole forfettario. Quindi le monete regionali devono essere quotate in un mercato del forex che permetta di stabilirne il valore rispetto alle altre in base alla domanda e all’offerta delle singole monete. Però, una cosa del genere renderebbe molto complesso i commerci, in quanto si verrebbe a creare una situazione di tipo medioevale con centinaia di differenti monete a rappresentazione di centinaia di nazioncine.

È quindi necessario che ogni valuta territoriale sia convertibile solo nella moneta legale di riferimento mediante un cambio ufficiale stabilito dal mercato del forex. Quindi, il Sardex, ad esempio, dovrà essere quotato rispetto all’euro digitale o alla moneta mondiale digitale, e deve essere convertibile solo ed esclusivamente con quella.

A questo punto, in ogni territorio in cui si andrà ad adoperare una moneta parallela occorrerà stabilire i prezzi di beni e servizi nella moneta di riferimento, ed il prezzo in moneta parallela per chi intende pagare con essa (che ovviamente deriverà dalla quotazione ufficiale).

Chi deve comprare merci prodotte fuori dal territorio potrà tranquillamente pagare anche con la moneta parallela, in quanto, grazie alla tecnologia delle monete digitali potrà fare il cambio istantaneo e gratuito e pagare le merci importante nella moneta di riferimento.

4° fase: il nuovo equilibrio economico

Nella quarta fase si raggiungerà finalmente l’equilibrio economico.
Ogni ente territoriale potrà decidere quanta nuova moneta immettere in circolazione ben sapendo che questo comporterà la variazione del cambio della propria moneta rispetto a quella di riferimento.
Tuttavia, l’emissione di nuova moneta risolverà le crisi di liquidità locali e al contempo renderà più competitive le produzioni permettendo di dare slancio alle varie micro-imprese.

Dall’altro lato, il maggior sviluppo commerciale dovrebbe permettere di ricevere più moneta di riferimento migliorando la situazione del territorio e rendendo meno necessario l’emissione di nuova moneta parallela che, anzi, può essere anche tolta dalla circolazione mano a mano che vengono pagati tributi locali con questa moneta territoriale.

Il tutto dovrebbe permette un equilibrio e avviare un sistema che sarà in grado di ammortizzare eventuali “urti economici” dovute a crisi locali, calamità e quant’altro.

Di contro, la doppia circolazione monetaria permetterà a tutti di poter accedere ai mercati internazionali, di investire, o viaggiare in tranquillità.

Sia la moneta di riferimento che quella parallela territoriale saranno create con la tecnologia digitale come il bitcoin i cui algoritmi sono già stati creati, e quindi non c’è nessuna difficoltà ad avviarne tante quante se ne vuole.

Fino ad ora si è sempre preferito avere un’unica moneta per il maggior territorio possibile, in quanto mettere in piedi un sistema monetario tradizionale è un’operazione molto complessa, oltre alla necessità di creare e gestire tutte le banconote con i relativi sistemi anti-falsificazione, e creare anche le monete metalliche, eccetera.

Ma se si procede per una svolta digitale, chiunque può creare una moneta in pochi giorni senza nessuna particolare complicazione tecnica ponendo le basi per un esplosione di diverse valute territoriali a corso legale o comunemente accettate.

Conclusioni

In definitiva, secondo la mia personale opinione per il sistema economico futuro le nazioni troveranno sicuramente un equilibrio stabile. Il problema sarà, piuttosto, quello di farlo accettare alla classe politica e a chi gestisce gli enti economici sovranazionali.

Infatti, nelle mie previsioni ho concluso con la soluzione delle moneta parallele quotate che funzionano come le normali monete nazionali ma su base territoriale. Questo, però, verrà visto in malo modo da chi detiene il potere monetario, in quanto lo percepirà come una perdita del loro personale potere che passa in mano a gestori locali.

In pratica quello che oggi accade quando qualcuno dice di voler uscire dall’euro, che fa immediatamente alzare un muro di fuoco da parte di BCE, politici europeisti, fondi di investimenti internazionali e via discorrendo.

Tuttavia, così come il problema europeo e dell’euro può essere risolto solo dall’introduzione di monete nazionali che ammortizzino ed equilibrino le diverse economie, lo stesso accadrà per le economie geo-localizzate che la digital economy farà sviluppare.

Bisogna solo vedere quanto tempo durerà ogni singola fase. Ho già pronosticato che la prima fase durerà circa 3 o 4 anni, ma la seconda fase, quella che ci porterà verso l’idea di creare le monete territoriali potrebbe durare anche 20 o più anni prima che decidano di arrendersi davanti l’evidenza dei fatti.

Anni in cui il sistema rimarrà squilibrato e si verranno a creare crisi regionali molto evidenti. Non dovranno sorprendere, in questa fase, gli arrampicamenti sugli specchi delle classi politiche al fine di trovare soluzioni raffazzonate pur di non ammettere che una moneta uguale per tutti è il problema e non la soluzione.
Si cominciano già a fare ipotesi di reset economici, di togliere la proprietà privata o altre assurdità simili pur di non fare ciò che va fatto. Il tutto diventerà in futuro ancora più grottesco ma sono sicuro che alla fine il buon senso prevarrà.

Conclusioni
Bene, con questo articolo ho cercato di analizzare ciò che una situazione apparentemente banale come lo smart working e la digital economy può causare a livello macroeconomico su base nazionale o internazionale.

Nel prossimo articolo ritornerò a focalizzarmi sulla parte aziendale e affronterò gli sviluppi futuri che la digital economy può innescare a livello produttivo.

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