Come vengono considerati i soldi prestati in vita al momento della successione? Ecco in che modo rientrano nell’eredità e quali sono le conseguenze per gli eredi.
Sapendo ciò che la legge prevede sulle donazioni, ci si chiede se anche i soldi prestati in vita rientrano nell’eredità. Come si evince dalla dicitura stessa, il prestito di denaro è completamente diverso dalla donazione, in quanto prevede la restituzione. Di conseguenza la disciplina successoria a riguardo non può essere la stessa, anche se anche i prestiti elargiti hanno un effetto importante sulla massa ereditaria. Oltretutto, la normativa riguardo al rapporto fra i soldi prestati in vita e il patrimonio ereditario può agevolare o svantaggiare gli eredi, a seconda dei casi.
Donazione o prestito: le differenze
La differenza ovvia – ma non ovviamente desumibile – tra donazione e prestito è che il secondo prevede una restituzione, mentre lo stesso istituto della donazione esclude una ipotesi simile. Nel concreto, poi, si può stabilire se è avvenuta una donazione oppure un prestito secondo la volontà comune delle parti.
Si presuppone, infatti, che chi ha dato i soldi e il ricevente avessero concordato in precedenza a che titolo sarebbe dovuto avvenire il trasferimento. Possono comunque esserci delle discrepanze, eventualmente anche dei fraintendimenti, soprattutto se chi ha regalato (o prestato) i soldi è ormai deceduto. Stabilire se si trattasse di una donazione o di un prestito è però molto importante soprattutto in tema di eredità; perciò, in queste occasioni il giudice deve decidere sulla base dei criteri oggettivi a disposizione.
Affinché si possa parlare con certezza di donazione, si deve quindi rintracciare il cosiddetto animus donandi del donante, ossia la sua intenzione e predisposizione nel compiere un atto di donazione. In altre parole, deve essere chiaro che ci fosse la volontà di arricchire il beneficiario senza ricevere per questo alcun corrispettivo. Oltretutto le donazioni più consistenti devono essere effettuate tramite atto notarile, escludendo quindi qualsiasi dubbio a riguardo. Allo stesso tempo anche la scrittura privata riguardo a un prestito è sufficiente a provare il prestito stesso.
In ogni caso, la dichiarazione degli eredi è piuttosto determinante se non ci sono prove scritte in proposito ai soldi ricevuti.
I soldi prestati e il patrimonio ereditario
I soldi che il defunto ha dato in prestito durante la sua vita non possono essere impugnati dagli eredi, proprio in vista della restituzione prevista. I prestiti, infatti, non possono ledere le quote di legittima proprio perché è prevista la riconsegna dell’importo, che quindi confluisce nel patrimonio ereditario. Ovviamente non deve esserci il trasferimento vero e proprio, purché i calcoli consentano di distribuire correttamente il denaro in oggetto.
Questo significa che se i soldi prestati non sono stati restituiti al defunto, deve comunque avvenire la loro restituzione nella massa ereditaria. In queste situazioni, tutti gli eredi possono esercitare un’azione legale per ottenere la restituzione del prestito. Si ricorda, infatti, che nella successione sono compresi anche i crediti. Questi devono poi essere divisi secondo le quote ereditarie.
Questo principio non è quindi favorevole a tutti gli eredi, ma soltanto a quelli che non hanno ricevuto soldi dal defunto come prestito. Tutte le persone in debito con il defunto devono infatti restituire il credito, a prescindere dai loro diritti successori. Questi ultimi saranno comunque garantiti dalla divisione ereditaria, la quale deve operare sull’intero patrimonio, anche sei in modo convenzionale. Allo stesso tempo, diversamente da ciò che succede per le donazioni impugnabili, i debiti si prescrivono in 10 anni.
Di conseguenza:
- Chi ha ricevuto dei soldi dal defunto deve “rimetterli” nel patrimonio ereditario, anche se il debitore è al contempo erede.
- Se sono passati più di 10 anni dal prestito, o dall’ultima richiesta di pagamento effettuata dal defunto, il debito è prescritto e i soldi non rientrano nell’eredità.
Bisogna comunque considerare che, se gli eredi sono d’accordo, nulla vieta all’erede debitore di operare la differenza tra il debito e la quota patrimoniale che gli spetta; in questo modo dovrà restituire o ricevere soltanto la parte eccedente. Di fatto, una parte del debito è di per sé parzialmente estinta già con l’accettazione dell’eredità, perché l’erede la deve a sé stesso. L’alternativa è quindi sottrarre dal debito la parte proporzionale alla quota del debitore, il quale dovrà corrispondere il residuo agli altri eredi (sempre in base alla quota).
Allo stesso modo, anche il recupero crediti da debitori terzi dovrà tenere conto delle quote. Quest’ultimo può essere esercitato tramite una causa civile, in quanto gli eredi diventano in automatico i nuovi creditori.
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