Confindustria chiede al governo di tagliare il cuneo fiscale di 5 punti percentuali: cosa farà il governo Meloni e quando potrebbero aumentare davvero gli stipendi dei lavoratori italiani?
Per Confindustria la priorità è aumentare gli stipendi dei lavoratori italiani. Il presidente Carlo Bonomi lancia una richiesta al governo: è necessario tagliare al più presto il cuneo fiscale. Non serve, a suo giudizio, una spending review, ma un “taglio shock del cuneo fiscale, di almeno 5 punti”.
La richiesta non viene rivolta per la prima volta da Bonomi, che già in passato ha chiesto di tagliare il cuneo fiscale per lavoratori e imprese. Oggi la sua proposta, però, sembra in linea con quanto più volte detto dalla stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che sembra però voler rimandare l’intervento sugli stipendi ai prossimi anni.
Per Bonomi è fondamentale, per contrastare l’inflazione e la riduzione del potere d’acquisto, puntare sul taglio delle tasse sul lavoro sia per i lavoratori che per le imprese. Ma cosa farà il governo? Ora che la legge di Bilancio si avvicina, l’idea dell’esecutivo sembra più chiara: ci sarà davvero un aumento di stipendio sin dal 2023?
Bonomi chiede di tagliare il cuneo fiscale
Per il presidente di Confindustria è necessario ridurre il cuneo fiscale, attualmente al 46,5%. Troppo alto, secondo Bonomi, soprattutto per chi ha redditi più bassi, inferiori ai 35mila euro. Tanto più in un momento come questo in cui l’inflazione continua a crescere e ridurre il potere d’acquisto degli italiani.
Quanto costa aumentare gli stipendi
Bonomi chiede al governo un intervento che necessiterebbe di circa 16 miliardi per poter mettere in campo un taglio di cinque punti del cuneo fiscale: due terzi per i lavoratori e un terzo per le imprese. Il suo obiettivo, spiega, è mettere in tasca agli italiani circa 1.200 euro in più l’anno, ovvero una sorta di mensilità aggiuntiva per sempre.
Quanto aumenterebbero davvero gli stipendi
Il taglio del cuneo fiscale porterebbe un aumento di stipendio diverso in base al salario mensile percepito dal lavoratore. Calcolando un taglio dei due terzi per il lavoratore, su un totale di cinque punti, avremmo per chi guadagna mille euro un incremento di 33 euro al mese in busta paga, intorno ai 400 euro annui.
Per chi guadagna 1.500 euro l’aumento sarebbe di circa 50 euro, ovvero intorno ai 600 annui. Per redditi da 2mila euro mensili, invece, la busta paga crescerebbe di 66 euro per un totale di circa 800 euro in più l’anno. Infine, per il tetto massimo - ovvero 2.692 euro al mese, i 35mila totali di reddito - l’aumento sarebbe di 89 euro, pari a circa 1.100 euro annui.
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La richiesta di Bonomi sul taglio del cuneo fiscale coincide con quella annunciata da Giorgia Meloni durante il suo discorso programmatico alle Camere: una riduzione di cinque punti percentuali per i redditi inferiori ai 35mila euro. Ma con una grossa differenza: la presidente del Consiglio ha parlato di un intervento graduale, mentre Confindustria vorrebbe che fosse immediato.
L’unica certezza (o quasi) per la prossima legge di Bilancio è che verrà confermato lo sgravio contributivo del 2% introdotto dal governo Draghi per i redditi sotto i 35mila euro. Ma per vedere questi aumenti in busta paga bisognerà probabilmente aspettare. Federico Freni, sottosegretario all’Economia, dice chiaramente che il taglio del cuneo fiscale si potrà valutare solo dopo aver affrontato la questione del caro energia.
Una volta messe in sicurezza famiglie e imprese sul fronte energetico, allora si potrà capire - con le risorse restanti - se intervenire ulteriormente sul cuneo fiscale. Un argomento che resta, comunque, tra le priorità assolute del governo, assicura Freni.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, garantisce che del taglio del cuneo fiscale si parlerà nell’incontro tra il governo e i sindacati delle prossime ore, ma sembra ancora presto per definire una posizione da parte dell’esecutivo sul tema. Difficile, a oggi, pensare che già nel 2023 si riesca a ridurre il cuneo fiscale di 5 punti percentuali. Più facile che arrivi un primo aumento parziale degli stipendi - e non è detto che ciò avvenga già con la manovra - da provare a incrementare nel corso degli anni.
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