Se il tatuatore non rispetta le norme igieniche e il tatuaggio/piercing prende infezione, rischia la condanna per lesioni personali. Sanzioni, regole da rispettare e risarcimento danni.
Un tatuaggio o piercing fatto male può provocare seri danni alla salute, oltre che estetici. Se il tatuatore non ha rispettato le norme igienico sanitarie, non ha fatto compilare il consenso informato o ha eseguito il tattoo su minori senza l’autorizzazione dei genitori, rischia la condanna per lesioni personali colpose.
A ribadirlo una recente sentenza della Corte di cassazione (la numero 32870/2020) che ha condannato un tatuatore a risarcire i danni ad una ragazza dopo che il piercing aveva preso infezione. Occorre, però, provare il mancato rispetto delle regole.
Ecco come e quando si può chiedere il risarcimento e quali sono i rischi per i tatuatori.
TATUAGGIO E PIERCING: RISCHI E RISARCIMENTO IN CASO DI INFEZIONE
Tatuaggio e piercing prende infezione: quando e cosa rischia il tatuatore
I centri di tatuaggi e piercing sono tenuti al rispetto di misure igienico sanitarie particolarmente severe per limitare le possibilità di contrarre delle infezioni. D’altro canto, anche il cliente è tenuto a rispettare una certa condotta per evitare che il piercing o tatuaggio prenda infezione (ad esempio evitare certi indumenti, non esporsi al sole e altro ancora).
Se il mancato rispetto delle regole è palese, l’ambiente e il materiale utilizzati sono sporchi o non disinfettati, il cliente può fare causa al tatuatore sporgendo una denuncia per lesioni personali (articolo 582 del Codice penale).
In caso di lesioni colpose, la legge prevede la reclusione da 6 mesi a 3 anni se dal fatto deriva una malattia (da provare con certificato medico); tuttavia, nella maggior parte dei casi, le violazioni non sono tanto gravi da portare al carcere, ma si risolvono nel risarcimento danni verso il danneggiato e il versamento di una somma a titolo di ammenda.
leggi anche
Tatuaggi piccoli: foto e idee
Norme igieniche da rispettare
Chi desidera fare un piercing o un tatuaggio deve rivolgersi a studi puliti, competenti e rispettosi della normativa (ve ne sono tantissimi) ed evitare quelli meno affidabili.
Le norme igieniche a cui fare attenzione sono la pulizia, il lavaggio e la sterilizzazione degli strumenti utilizzati, gli aghi e i guanti devono essere rigorosamente monouso, la pulizia e l’ordine dell’area di lavoro, ogni materiale inserito nel corpo o a contatto con la pelle deve essere conforme alla normativa europea.
Il consenso informato
Regola imprescindibile per ogni centro di tatuaggi e piercing è far compilare e firmare il consenso informato al cliente e, nel caso in cui fosse minorenne (a che età si può fare un tatuaggio?), dal genitore o tutore che lo accompagna.
Chi effettua tattoo o piercing senza informativa rischia una denuncia.
Il modulo serve come presa visione dei rischi eventuali e deve indicare i comportamenti vietati/sconsigliati nei giorni e nelle settimane successive al tattoo o piercing. Questo solleva il centro tattoo da eventuali danni non imputabili alla condotta del tatuatore.
Quando si ha diritto al risarcimento danni
Oltre alla condanna per lesioni, il tatuatore colpevole di non avere rispettato le regole igienico-sanitarie può essere condannato a risarcire i danni alla vittima.
L’entità del risarcimento sarà proporzionata al danno subito, che va provato mediante certificati medici e ricevute dei farmaci acquistati per curare l’infezione.
Il cliente può chiedere il risarcimento danni anche in caso di mancato consenso informato o se il modulo era incompleto e non conforme al dettato normativo poiché mancante di alcune indicazioni/avvertimenti essenziali.
E se il tatuaggio è brutto/diverso dalle richieste del cliente? Anche in questa ipotesi potrebbe scattare il diritto al risarcimento, ma la prova del danno è più complessa: il cliente deve dimostrare che il tatuaggio è palesemente diverso da quanto richiesto o che sia stato eseguito male; in altre parole, il risultato deve essere considerevolmente diverso dalle aspettative. Il danno estetico è valutato discrezionalmente dal giudice.
© RIPRODUZIONE RISERVATA