Tax ruling e non solo: così lo Stato favorisce le multinazionali e tartassa i cittadini

Anna Maria D’Andrea

15 Marzo 2018 - 16:42

Pressione fiscale in calo del 9% per le multinazionali mentre i cittadini sono sempre più tartassati. I tax ruling costano all’Italia 7 miliardi di euro all’anno.

Tax ruling e non solo: così lo Stato favorisce le multinazionali e tartassa i cittadini

Le multinazionali pagano sempre meno tasse: dal 2008 ad oggi la pressione fiscale per i grandi gruppi imprenditoriali è scesa del 9%.

Al lato opposto della medaglia ci sono, invece, i cittadini: lo Stato chiede ai piccoli risparmiatori e ai lavoratori quello che toglie ai grandi. La pressione fiscale sui redditi delle persone fisiche è aumentata del 6%, non soltanto in Italia ma in tutti i Paesi OCSE.

I numeri, riportati dal Sole24Ore e frutto di uno studio del Financial Times, fanno emergere un quadro paradossale: gli Stati agiscono come dei “Robin Hood al contrario”, concedendo ai più ricchi quel che non risparmiano ai poveri.

Accanto alla progressiva riduzione delle imposte sui redditi delle società si aggiunge il fenomeno sempre più aggressivo del tax ruling, gli accordi segreti con i quali lo Stato concede sconti sulle tasse alle grandi imprese.

Soltanto in Italia ne sono in vigore almeno 78 ed ogni anno lo Stato perde ben 7 miliardi di euro, cifra non indifferente per il Paese con il terzo debito pubblico più alto del mondo.

Meno tasse solo per le grandi multinazionali

A partire dal 2008 ad oggi le grandi multinazionali sono riuscite a far diminuire del 9% la tassazione sui propri profitti rispetto al periodo che ha preceduto la Grande Recessione.

Una situazione del tutto in controtendenza rispetto a quanto accaduto invece alle tasche di lavoratori e pensionati e, soprattutto, nettamente migliore di quanto previsto per le piccole imprese.

In Italia, ad esempio, l’Ires (l’imposta sul reddito delle società) è stata recentemente ridotta dal 27,5% al 24%. Ma non siamo certo l’unico Paese in cui si è cercato di ridurre la pressione fiscale per le grandi aziende.

Secondo lo studio del’OCSETax Policy Reforms in Oecd” i Paesi di tutto il mondo hanno adottato negli anni una vera e propria corsa alla riduzione delle tasse sui redditi d’impresa e l’obiettivo è tutt’altro che difficile da comprendere: bisogna esser sempre più competitivi e soprattutto attrarre le grandi multinazionali.

Così, a far compagnia all’Italia, ci sono Germania, Canada, Grecia e Turchia, i Paesi che hanno ridotto di più le aliquote d’imposta sui redditi delle società e a questi non può che aggiungersi l’America, con la riforma fiscale di Trump che ha portato dal 35% all 21% la corporate tax per le società.

Con il tax ruling lo Stato “coccola” le grandi multinazionali

Non solo riforme fiscali: ridurre di qualche punto percentuale le imposte non basta alle grandi multinazionali e così sono gli Stati a promettere veri e propri sconti sulle tasse.

I tax ruling altro non sono che accordi con i quali si concede ad una società di pagare meno tasse di quanto previsto dal sistema fiscale del Paese; si tratta di accordi segreti, dei quali non si conoscono beneficiari e neppure il contenuto degli stessi. Di questi accordi i Paesi dell’UE ne fanno sempre più uso e in un anno sono passati da 1.252 a 2.053.

A far emergere i numeri del fenomeno in Italia è stato Tommaso Faccio, docente di economia aziendale alla Nottingham University Business School in Inghilterra: le casse statali ci perdono ogni anno 7 miliardi di euro.

Ad oggi in Italia sono almeno 78 i tax ruling firmati e soltanto pochi mesi fa l’inchiesta de “L’Espresso” svelava i nomi di tre delle multinazionali firmatarie di accordi di riduzione delle tasse con l’Agenzia delle Entrate: Philip Morris, Michelin, Microsoft.

Però, se da un lato si riducono le tasse alle grandi aziende, in qualche modo bisognerà pur far quadrare i conti: aumentano le imposte sui redditi delle persone fisiche e l’IVA.

Cittadini e imprese sempre più tartassati dalle tasse

Cercare di attrarre le grandi aziende ha un costo. L’OCSE ha calcolato che, per poter pareggiare quel -9% di tasse a carico delle multinazionali, sono imprese e lavoratori a pagare il conto più salato.

Per quanto riguarda l’Italia, non è certo una novità che la pressione fiscale per le famiglie e per le piccole e medie imprese sia arrivata ormai a livelli insopportabili.

La classifica dell’OCSE relativa alle tasse sugli stipendi vede il Belpaese occupare il 5° posto, con un cuneo fiscale - la differenza tra il costo del lavoro e lo stipendio netto pagato al dipendente - del 47,8% ben sopra la media europea al 36%.

L’analisi dell’OCSE ha comunque evidenziato un calo della pressione fiscale sugli stipendi: il cuneo fiscale in Italia è diminuito rispetto al 2015 dello 0,1% per le famiglie e dello 0,08% per i single. Nonostante questo le tasse sui redditi sono comunque ancora molto alte se paragonate a quelle degli altri Paesi.

La situazione non migliora se si guarda a liberi professionisti ed imprese: la pressione fiscale in Italia può arrivare fino al 49% per le imprese, ben 6,4 punti percentuali in più rispetto alle stime ufficiali. A dare l’allarme è stata negli scorsi mesi la Cgia di Mestre ma si tratta di un monito che Federconsumatori porta avanti già dal 2015.

Aumento IVA: lo spettro delle clausole di salvaguardia

A tartassare le tasche dei contribuenti e delle imprese non ci sono soltanto le imposte sui redditi ma anche l’IVA, per la quale negli scorsi mesi si sono spesi fiumi di parole in relazione allo spettro delle clausole di salvaguardia e ai nuovi aumenti in arrivo dal 2019 e fino al 2021.

A compensare la diminuzione del gettito fiscale dovuto alla riduzione delle imposte sulle società ci ha pensato proprio l’imposta sui consumi, che nei Paesi dell’OCSE è passata da una media del 17,6% nel 2008 al 19,2% nel 2015.

E sarà proprio sul fronte dell’IVA che, in Italia, si dovrà trovare un’urgente soluzione: dal prossimo 1° gennaio 2019 bisognerà fare i conti con l’aumento sia dell’aliquota ordinaria che di quella agevolata, destinate (al momento) ad arrivare al 25% e al 13% tra il 2020 e il 2021.

Una nuova minaccia che rischia di ridurre ancor di più i consumi e a dare il colpo di grazia ad un’economia già affossata da tasse e burocrazia.

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