A Roma verrà costruito un termovalorizzatore per smaltire i rifiuti: il professor Lombardi spiega a Money.it di che impianto stiamo parlando, a cosa serve e qual è l’impatto su ambiente e salute.
Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha annunciato la decisione di costruire un termovalorizzatore per lo smaltimento dei rifiuti della Capitale. Una scelta, avvallata anche dal governo, che ha suscitato la protesta del Movimento 5 Stelle, tanto da portare i suoi ministri a non votare il decreto Aiuti.
La discussione sul termovalorizzatore prosegue nella Capitale da anni e le ultime giunte comunali si sono trovate più volte ad affrontare - e di fatto rimandare - la questione. Ma perché questi impianti e la loro costruzione polarizzano tanto il dibattito politico?
Francesco Lombardi, professore ordinario di Ingegneria sanitaria ambientale all’università Tor Vergata, spiega a Money.it quali sono le caratteristiche dei termovalorizzatori, qual è il loro impatto sull’ambiente e perché al momento non sembrano esserci altre soluzioni per città come Roma, sottolineando anche quanto emerso dagli studi pubblicato sul libro bianco sull’incenerimento.
Cos’è un termovalorizzatore?
Il termine è improprio dal punto di vista normativo. In senso vero e proprio vuol dire che io sto valorizzando tecnicamente una matrice che è quella del rifiuto. In generale parliamo di Wte, waste to energy, ma la norma comunitaria non parla di termovalorizzatore ma di inceneritore. Ora la differenza sta che a livello comunitario esistono degli impianti che possono solo bruciare il rifiuto, i termodistruttori, concepiti per i rifiuti pericolosi e la cui pericolosità viene abbattuta solo con il processo di combustione. Ci sono poi gli inceneritori che sono quegli impianti che ricorrono al trattamento per combustione solo sulla matrice rifiuto che non può essere recuperata se non con energia termica. I rifiuti, a livello comunitario, dovrebbero innanzitutto essere recuperati come materia e, prima ancora, come riciclaggio: per esempio una bottiglia riusata come bottiglia. La bottiglia triturata è invece recupero di materia. Se il rifiuto è una matrice che non dà luogo al riuso o alla materia nuova, posso valutare se quel rifiuto può diventare energia.
In cosa differisce da un inceneritore?
La differenza oggi è solo in un termine più che altro divulgativo, per intendere che quell’impianto si colloca come impianto che tratterà rifiuti che possono essere solo recuperati dal punto di vista energetico. Per distinguerlo in generale tra una vasta gamma di impianti allora si usa questa piccola distinzione.
Qual è il progetto di cui si parla per Roma?
Bisogna fare un distinguo. L’opinione pubblica è focalizzata solo sul termovalorizzatore proposto dal sindaco, ma il progetto del comune di Roma non si basa solo su quello, ma anche su due impianti di recupero, per esempio. Il termovalorizzatore serve per quella quota parte che non può essere recuperata, il residuale della raccolta differenziata. Nelle case dei romani per via differenziata si raccolgono vetro, plastica e metalli, carta, l’organico; e poi il residuale che noi definiamo non differenziato. Quella frazione di rifiuto è quella destinata al termovalorizzatore.
Quali sono i vantaggi di un termovalorizzatore?
Il discorso è che il termovalorizzatore non è un’alternativa a un altro tema di gestione dei rifiuti, ma una necessità legata al rifiuto che viene prodotto. Se avessi della plastica da recuperare non ne avrei bisogno, ma se vediamo che solo il 40% della plastica è recuperabile, questo mi dice che il 60% è una plastica non recuperabile: che ne faccio? La abbandono? Nella gerarchia dei rifiuti, c’è ancora possibilità di fare energia con il termovalorizzatore.
Allo stesso modo non ha quindi molto senso parlare di svantaggi?
Tutto ha vantaggi e svantaggi in generale, ma tutto sta nel capire i limiti di questi vantaggi o svantaggi e quanto possano essere necessari per andare avanti. Perché faccio l’inceneritore? Perché devo rispettare determinati vincoli e limiti da qui al 2035. Per la comunità europea noi dovremmo arrivare a recuperare il 65% di materie presenti nei rifiuti: carta, plastica, vetro, metalli, quindi frazioni che sono appetibili per un ciclo di recupero. L’altro pericolo è che non possiamo avviare in discarica più del 10% del totale dei rifiuti attualmente prodotti e spesso sono rifiuti non utili al recupero energetico. E molto spesso necessitano della discarica. Infine la restante quota parte - se vediamo le statistiche europee - va a essere recuperata sotto forma di energia, unica forma di recupero che si può attuare su questa quantità di rifiuto. Questa va ai termovalorizzatori.
Quindi dei vantaggi ci sono?
Il vantaggio è che si riduce le quantità di rifiuto che va alla discarica finale: quindi posso creare energia al posto di combustibili fossili. Poi il quantitativo finale si riduce quasi al 10% del volume iniziale. Questo 10% sarà rappresentato soprattutto da scorie e l’80% di scorie oggi è recuperabile come materiale da costruzione. Addirittura di quel 10% potremmo destinare alla discarica solo il 2%, cioè le ceneri da abbattimento di emissioni gassose, che fanno sì che si assicurino i parametri ambientali.
E qui arriviamo all’altro tema, quello forse più divisivo nell’opinione pubblica: qual è realmente l’impatto sull’ambiente dei termovalorizzatori?
È evidente che in tutti i Paesi in cui si è affrontato seriamente questo problema, e noi abbiamo l’esempio di Torino dove si è affrontato in maniera efficace questo problema, vediamo che l’inceneritore è simile come emissioni a un impianto industriale, ma con una concentrazione al di sotto della soglia per la salute e per il rischio dell’ambiente. E ne abbiamo dimostrazione anche dall’Oms: gli ultimi studi dicono che i moderni inceneritori non danno evidenza di impatto ambientale con gravi conseguenze su uomo e ambiente. Mentre tutti gli studi che segnalano problematiche riguardano inceneritori che sono stati costruiti primi degli anni Novanta, senza migliori tecnologiche disponibili, senza il controllo del processo e soprattutto non avevano i necessari presidi ambientali per le emissioni generate dagli impianti. Questo vuol dire che bisogna mettere in piedi, come a Torino, uno studio per verificare che la popolazione residente del sito non abbia già delle condizioni pregresse che possano impattare in maniera negativa e poi deve esserci una sorveglianza costante per tenere sotto controllo tutti i possibili sentori che si potrebbero manifestare all’interno di una popolazione.
Il termovalorizzatore è la soluzione giusta per Roma o c’è un’alternativa?
Roma parte da una situazione in cui non ha impianti, i famosi Tmb garantiscono solo un volano tra la raccolta e la successiva gestione dei rifiuti. E poi che cosa facciamo? Se parliamo del residuale, che sarà la frazione intercettata dal termovalorizzatore, consideriamo una quota parte del 35% che è l’ottimale che assumono tutti gli altri paesi europei. Con questo rifiuto oggi che facciamo a Roma? Lo mandiamo nei Tmb, qualcosa in discarica, qualcosa agli attuali termovalorizzatori, ma il 60% ha difficoltà a trovare collocazione perché è da mandare in altre regioni. È evidente che le quantità in gioco non consentono di fare valutazioni su impianti di altra tipologia. Oggi il termovalorizzatore è quello che meglio si presta sia agli obiettivi comunitari del 2030 che alle esigenze di una città come Roma. È evidente che se dovessi fare una scelta nel breve e medio termine, il termovalorizzatore è ciò che più risponde a queste esigenze. Quando si parla dell’impianto autorizzato, l’ammortamento si ha nel tempo di dieci anni: se in questi dieci anni dovesse cambiare qualcosa, vuol dire che io da bravo pianificatore non rimuoverò le autorizzazioni per quell’impianto ma andrò a individuare una nuova scelta impiantistica, perché intanto il costo dell’impianto si è già ammortizzato. Il problema grosso non è l’impianto più idoneo, ma che tipo di rifiuto è? È il tipo di rifiuto che governa la tecnologia.
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