Settimana corta, in Giappone è la soluzione contro il calo delle nascite? Il governo di Tokyo ci prova.
La settimana corta arriva anche a Tokyo, città più grande del Giappone nonché il più importante polo logistico per le aziende operative nel Paese. Qui, infatti, il governo metropolitano è al lavoro per fare in modo che da aprile 2025 le aziende possano consentire ai dipendenti di lavorare solo 4 giorni su 7, senza subire tagli sulla retribuzione.
Quello della settimana corta è un tema che ormai viene affrontato nella maggior parte delle economie sviluppate, con alcuni Paesi che sono più avanti degli altri visto che da tempo hanno avviato modelli di sperimentazione per testare i risultati della settimana corta. L’Italia in tal senso è nel mezzo: vero che il governo Meloni ha spiegato di non avere come priorità la definizione di un modello di settimana corta, ma allo stesso tempo nel rinnovo di contratto del comparto centrale della Pubblica amministrazione viene disciplinata, seppur con dei limiti, una tale possibilità.
Ma torniamo a Tokyo, dove l’esigenza di passare a una settimana corta è data dalla necessità di risollevare un dato che nell’ultimo periodo si fa sempre più preoccupante: il tasso di natalità, con il Giappone che da tempo sta affrontando un’importante crisi demografica alla quale si stenta a trovare una soluzione.
Tokyo passa alla settimana corta per dare una spinta alle nascite?
In Giappone si fanno sempre meno figli. Nel primo semestre del 2024 sono state registrate appena 350.074 nascite, in calo del 5,7% rispetto allo stesso periodo del 2023 quando i dati risultavano già allarmanti visto che il tasso di fertilità totale, ossia il numero di figli che una donna ha nel corso della vita, era pari a 1,2 con un tasso di natalità dello 0,99. Numeri preoccupanti; basti pensare che secondo l’Ocse il tasso di natalità di un Paese dovrebbe essere almeno del 2,1 per mantenere la popolazione stabile ed evitare le conseguenze che avrebbe, specialmente sul piano assistenziale e previdenziale, un invecchiamento della popolazione.
Il Giappone guarda quindi con preoccupazione a questi dati e non potrebbe fare altrimenti: d’altronde, qui l’età media della popolazione è già molto alta - pari a 49,9 anni mentre negli Usa ad esempio è di 38,9 anni - e il brusco calo della natalità rischia di peggiorarlo ulteriormente.
Settimana corta, una soluzione contro il calo delle nascite?
Mentre in Italia si ragiona sugli effetti che la settimana corta avrebbe sulla produttività, tra i problemi più grandi della nostra economia, in Giappone si guarda con interesse a questa modalità di lavoro per permettere al lavoratore di dedicarsi più tempo alla propria famiglia senza dover necessariamente rinunciare allo sviluppo della propria carriera.
D’altronde il governo giapponese le ha provate tutte per invertire i dati sulla natalità, iniziando già negli anni ‘90 a chiedere alle aziende di riconoscere un congedo parentale importante, oltre a prevedere sussidi per l’asilo nido e persino pagare in contanti chi diventa genitore. Nulla però è servito a contrastare questo fenomeno, neppure le soluzioni più fantasiose come quella di lanciare un’applicazione di incontri governativa.
Secondo il governo metropolitano di Tokyo la strada da seguire potrebbe essere appunto un’altra: dare più tempo ai genitori da passare in famiglia utilizzando forme di lavoro flessibili che possano permettere, specialmente alle donne, di non sacrificare la propria carriera per dedicarsi all’educazione dei figli.
D’altronde il Giappone è tra i Paesi con il gender gap più rilevante tra quelli appartenenti all’area Ocse: qui, come riportato dal Fondo monetario internazionale, le donne svolgono 5 volte più degli uomini lavori considerati di cura, quali appunto l’assistenza all’infanzia e agli anziani.
Per questo motivo oltre alla settimana corta verranno sviluppate anche delle politiche mirate, come ad esempio il potenziamento del congedo parentale dando la possibilità ad alcuni dipendenti di lavorare persino due ore in meno al giorno.
La settimana corta a Tokyo rischia di fallire?
Va detto comunque che la settimana corta a Tokyo potrebbe non rappresentare una soluzione valida al problema visto che i test di questo tipo già effettuati in Giappone hanno riscontrato uno scarso interesse tra i lavoratori.
Nonostante una spinta anche da parte del governo centrale, oggi appena l’8% delle aziende giapponesi, secondo i dati pubblicati da Associated Press, ha scelto di aprirsi a una tale flessibilità d’orario, forti anche del fatto che neppure tra i dipendenti c’è chissà quale interesse a lavorare un giorno meno.
Una diffidenza insita nella cultura giapponese dove c’è un’educazione molto rigida e una grande dedizione dei lavoratori nei confronti della loro azienda. Fare un passo indietro, anche su richiesta del governo, per il momento non sembra quindi dare i propri frutti, vedremo se con l’ulteriore spinta data dall’amministrazione locale di Tokyo le cose cambieranno oppure se il Giappone deve prepararsi a quella che potrebbe essere una delle crisi demografiche peggiori della sua storia.
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